Valentino Vago, Rodolfo Aricò, Claudio Olivieri
Dal 4 al 26 febbraio 2010
In un momento storico dove, dopo le avanguardie di rottura, le ricerche di maniera e i movimenti di evoluzione, la gran parte della giovane ricerca artistica si muove su un territorio ibrido, tra social, post-concettuale, new media, immagini pseudo schic patinate e post communication, mi permetto di fermarmi a “guardare la pittura” di questi tre artisti, intuita e creata tra la fine degli anni cinquanta e sessanta.
Tutti e tre gravitarono, in quegli anni, attorno alla galleria di mio padre, il Salone dell’Annunciata; tutte le opere provengono dalla collezione Carlo Grossetti e appartengono a quell’esperienza.
Per tutti gli anni cinquanta, non solo in Italia, l’avvento dell’informale, affascinò e trovo adepti in moltissimi artisti, molti di loro rivolsero poi la loro ricerca in diverse direzioni.
Manzoni e Fontana, Castellani, Nigro, per citarne alcuni, trovarono negli studi informali le soluzioni e le chiavi, che raffreddate o concettualizzate li posero poi in quella che è diventata la loro identità.
Per Aricò l’esperienza del realismo esistenziale (con Romagnoni, Ceretti, Vaglieri, Scanavino) già presagisce una grande differenza dall’informale puro. Nella metà degli anni sessanta Aricò abbraccia una posizione più sintetica, dove l’ordine geometrico comincia a dettare quella legge che accompagnerà l’artista per tutto il suo percorso di ricerca. La libertà espressiva e la sensibilità pittorica lo portano nel 1964 alla biennale di Venezia, dove ci fu fermento e discussione, confrontando le sue opere con quelle del giovane Jasper Johns, poi vincitore in quell’anno del premio della Biennale.
Per Olivieri l’esperienza informale fu subito influenzata dall’avvento dello spazialismo di Tancredi, Fontana e altri, che scossero la Milano di quegli anni. Olivieri, però, tiene lo sguardo sulla luce e ad una composizione quasi classica (Tiepolo). Alla fine degli anni sessanta, anche Olivieri arriva a una sintesi che lo porterà poi a una pittura di luce pura e spazi atmosferici che oggi ne caratterizzano la sua formidabile ricerca e autonomia.
Vago più che un informale potrebbe essere paragonato a Rothko e nei primi anni tra il cinquantasette e il sessantuno produce opere di assoluto rigore e di grande poesia, campiture di colore, a memoria di Malevic, sottintendono stratificazioni di luce come esperienze spirituali. Negli anni sessanta poi, l’inserimento di accadimenti, piccole linee/colore, come presenze nello spazio o unità, come personaggi della vita caratterizzeranno per un ventennio la sua ricerca.
Innumerevoli le mostre italiane ed estere, in spazzi pubblici e privati, per questi tre artisti corteggiati e supportati dalla critica non solo Italiana. Questi tre pittori v’invitano a guardare la pittura per credere nella vita.
Dal 4 al 26 febbraio 2010
ORARI:
Lunedì 15.00 - 19.00 Dal martedì al venerdì 10.00 - 19.00