Angela Glajcar - Testi

Nata a Mainz, in Germania. Vive e lavora a Nieder-Olm.

Metamorfosi dello spazio

“Mi interessano gli spazi che agiscano su di me e reagiscano direttamente alla carta; spazi che posso modificare”.

Così Angela Glajcar definisce, sinteticamente, un aspetto fondamentale della sua ricerca artistica.

Angela Glajcar è, allo stesso tempo, artista e pioniere. Ogni spazio espositivo - anche la grande sala del Kunstverein Ludwigshafen (Associazione per le Arti di Ludwigshafen) - viene sottoposto a un esame e a un’analisi approfonditi, prima che l’artista, con l'ausilio di modellini, cominci a sondare le differenti possibilità d'intervento, determinate dallo spazio stesso. Il lavoro effettivo, la realizzazione del bozzetto, non avviene nell'atelier dell'artista ma direttamente in loco. I mezzi artistici sono ridotti al minimo: le bastano carta e luce per realizzare una delle sue più imponenti installazioni con la carta fino a oggi, alla Kunstverein Ludwigshafen. In generale, un principio essenziale sotteso al lavoro artistico di Angela Glajcar è ottenere un risultato efficace con grande precisione e un'estrema economia di mezzi. In questo senso l’artista si appropria delle diverse qualità dei suoi elementi. Combina il potenziale tangibile della carta con la proprietà immateriale

della luce, costruendo impressionanti installazioni tridimensionali a partire da fogli di carta a due dimensioni.

Lo spazio espositivo del Kunstverein Ludwigshafen - una superficie di 500 metri quadrati, per un'altezza di oltre 5 metri - ha subito una totale trasformazione. Nella galleria completamente oscurata si erge nel centro dello spazio un corpo spaziale lungo più di 17 metri, inondato da una luce artistica. La dimensione è di per sé impressionante; a un primo sguardo la sua forma non riporta alla mente nulla di conosciuto. “Arsis” - dal greco antico, ‘sollevarsi, ascendere’ - è il titolo dell’opera, che segna anche l'inizio di una nuova fase artistica. Strisce di carta fluttuano e oscillano, in successione, per scivolare morbidamente sul pavimento da un'altezza di oltre 5 metri. In alternanza ritmica, sempre leggermente scostati tra di loro, i fogli sono allineati in un movimento scorrevole, definendo in questo modo il profilo di un triangolo. Come un manto protettivo, le strisce di carta racchiudono uno spazio vuoto. Questo incavo sovrasta di molto l'osservatore, chiudendosi a punta da un lato e aprendosi dall’altro. Ogni foglio è lungo da 8 a 15 metri, largo circa 16 centimetri, ed è fissato al soffitto tramite sottili fili di ferro. Con ampi gesti calcolati, le strisce di carta si estendono fino al pavimento, assottigliandosi e così dando l'impressione di terminare lì; fino a quattro fogli. E si sollevano nuovamente dal pavimento, risalendo al soffitto con un'ampia onda.

Questa installazione rammenta un monumentale corpo cavo, simile all’ossatura di una nave; è percorribile in tutti i sensi, anche nel suo interno. Nonostante la considerevole mole, l'installazione è caratterizzata da una straordinaria leggerezza e fragilità, ulteriormente enfatizzate da un preciso orientamento della luce. Luci e ombre restano sospese sulle strisce trasparenti di carta, trasformando la voluminosa scultura in un'opera multidimensionale. Osservarla da un'unica prospettiva non consente di afferrarla tutta e di comprenderne la bellezza ed eleganza ammaliante. Soltanto all’osservatore che gira attorno si dischiuderanno incessanti metamorfosi dello spazio, grazie alle angolazioni sempre diverse. La scultura sembra aprirsi e richiudersi, a seconda della posizione

dell'osservatore, guidandone lo sguardo lungo la sua superficie e nel suo interno. Alcune strisce mostrano delle fenditure, intenzionalmente prodotte dall'artista, che attraverso il gioco delle luci incidenti proiettano l'ombra dei loro bordi sulle strisce immediatamente successive. Prospettive senza fine, percezioni luminose e spaziali, proprie di questo spazio simile a una caverna, producono l'annichilamento dei confini fra realtà e immaginazione. L’installazione considera anche lo spazio circostante. La luce crea dei propri percorsi nelle numerose fenditure e aperture fra una striscia e l'altra, finendo per trasformare le pareti e il pavimento in grandi schermi su cui si proiettano gli straordinari giochi d'ombre.

 Una particolare percezione dello spazio è garantita al visitatore che si inoltri nell’interno

dell'installazione. Da questa prospettiva le lunghe strisce di carta, disposte una dietro l'altra, serpeggiano fino al soffitto come un'enorme onda. La dimensione monumentale dell'installazione è percepibile con maggior forza dal suo interno. Il cammino ci conduce in spazi sempre più angusti, fino a giungere all’estremità chiusa. Circondato da una "foresta di carta”, lo spettatore si ritrova nel cuore dell'installazione, dove si manifesta un'ulteriore caratteristica della carta - questa sostanza fatta di materie naturali - una caratteristica che va oltre la sua natura tattile: è il calore che offre, dando al visitatore una piacevole sensazione di sicurezza e protezione.

Questa installazione, che domina lo spazio espositivo sorgendo nel suo mezzo, è completata significativamente da altre tre sculture, appartenenti a una precedente fase dell'artista. Tre blocchi di carta, di differenti altezze, collocati nella galleria per costituire un contrasto, carico di significati, con la vicina struttura spaziale fluttuante, “Arsis”: in tal modo la gravità statica controbilancia l'elegante levità. Anche in questo caso, Angela Glajcar si limita all'uso di un unico materiale: del normale cartone marrone. 1200 fogli sono stati sovrapposti, in modo da formare un blocco squadrato, che a un primo sguardo potrebbe sembrare minimalista. Ma a una certa distanza, il cubo appare come una forma ben definita, mentre a uno sguardo più attento rivela la propria essenza. In alcuni punti sembra concavo. I fogli sono stati strappati in punti diversi e deposti uno sull’altro, foglio per foglio, così da formare delle cavità mai eguali, più piccole o più grandi. I segni di questo

procedimento sono evidenziati in modo peculiare dall'irregolarità dei bordi del cartone. Ridanno struttura e consistenza alla carta in sé, creando riccioli in certi punti, dilaniando l'interno del cubo e alcune volte rompendo la stessa superficie esterna, altrimenti compatta e liscia. Queste viste a "terrazzamenti" ricordano le costruzioni lamellari, le stratificazioni geologiche o i disegni delle rocce sott'acqua. La speciale illuminazione su ciascun cubo guida gli occhi dell'osservatore attraverso questi labirinti incassati, che sempre più profondamente scendono nelle viscere della scultura e conducono all'interno del cubo, nei suoi più segreti e bui recessi, fino al punto in cui nessuna luce può penetrare e tutto si dissolve nel buio totale.

Qui, come già nelle prime opere, Angela Glajcar mostra significativamente il potenziale della carta, di solito conosciuta per la sua leggerezza e fragilità. Ne rivela l'aspetto più materiale, tangibile, nonché le sue qualità immateriali, suscitando in questo modo sempre nuovi, sorprendenti visioni. Come dice la scultrice, “la carta è una sostanzaappassionante, in grado di cambiare continuamente e assumere qualsivoglia forma.” Appena lo spettatore entra nello spazio espositivo, si sente messo a confronto con un universo concluso, che nondimeno rimanda continuamente all'ambiente circostante. Così il visitatore diventa scopritore e ricercatore. Solo camminando attorno all'installazione e traversandola, è possibile catturarne la complessità spaziale e la diversità ottica, percependo altresì quella speciale atmosfera in cui spazio e tempo sono correlati. Con questa installazione l'artista ha creato uno spazio eccezionale per il riposo e la contemplazione, che ci difende e distanzia dal nostro frenetico mondo quotidiano, così saturo di rumori e stimoli.

Nonostante il nitore, la semplicità e il rigore formale, quest'opera offre una gamma infinita di associazioni. Visioni e immagini che riescono a creare un ponte fra noi e la realtà; ma nello stesso tempo ci restituiscono uno spazio sgombro e aperto, dove i nostri pensieri e le nostre fantasie possono liberamente vagare.

Barbara Auer

 

 

Intervista ad Angela Glajcar - Realizzata per la rivista "Titolo" diretta da G. Bonomi

1. Pur utilizzando anche altri materiali, è indubbio che la carta sia l’elemento essenziale della tua opera. Come sei giunta a scegliere la carta come materia d’elezione e quale aspetto di tale materia apprezzi maggiormente?

A.G.

Anticipando la mia prima serie di carta „Contrarius“ facevo piccoli collage di carta che erano prima pensati come disegni per delle sculture di legno e di acciaio. La carta presentava tutte le sue caratteristiche interessanti: è leggera e piatta, ma sorprendentemente si possono creare nello spazio dei volumi enormi. La carta è flessibile e mobile – e il movimento gioca da sempre un grande ruolo nel mio lavoro. Ma prima di tutto la carta meraviglia per la sua presenza sculturale. Queste tensioni si allargano nello spazio e gli danno un’atmosfera tutta sua.

2. Le tue sculture e installazioni sono fatte per stratificazioni e sovrapposizioni di fogli ma allo stesso tempo vi è presente anche l’elemento della sottrazione. Infatti, perforando i tuoi volumi crei degli spazi vuoti che si aprono allo sguardo dello spettatore, che ne può scrutare l’interno. Nel tuo lavoro quanto peso hanno la stratificazione e il rapporto tra pieni e vuoti?

A.G.

Prima di tutto è interessante costruire dei corpi nello spazio che non sono veramente pieni. Da un lato sono massicci, dall’altro sono trasparenti. A seconda dello sguardo lo spettatore vede quindi un blocco o gli spazi vuoti tra i fogli. Questi corpi grezzi costituiti da una moltitudine di fogli messi in linea, strappati hanno tutti una forma individuale. E come un coro che soltanto nel suo insieme crea il Klangkörper (cassa di risonanza, coro, unicum). Le voci singole devono essere perfettamente intonate/ sincronizzate e fanno vedere unicamente nella totalità il loro effetto “completo”.

Lo spazio interno è creato rompendo dei pezzi. In verità il foglio è ferito. I bordi rotti sembrano morbidi e creano un contrasto deciso con i bordi esterni tagliati. Gli spazi vuoti dei fogli unici danno ai misteriosi spazi interni un’apertura che tira lo sguardo verso l’interno e di ritorno all’esterno. Un massiccio blocco chiuso avrebbe sicuramente qualcosa d’inquietante; forse questi “spazi interni aperti” permettono esattamente allo spettatore di far riposare il suo sguardo – per avvicinarsi lentamente.

 3. Con la carta riesci a creare sia delle strutture leggere, che sembrano sottrarsi alla forza di gravità, che volumi massicci, quasi fossero dei blocchi di marmo squarciati, ma in entrambi i casi le tue opere appaiono come sospese in una dimensione atemporale, capaci di evocare atmosfere cariche di suggestioni…

A.G.

La carta è certamente un materiale che reagisce all’atmosfera in tanti modi diversi. La carta seduce tramite la sua sensualità tattile: si desidera di toccarla, di sentirla e reagisce fortemente all’ esterno e alla luce. Grazie alla tecnica della sovrapposizione le opere di carta si fanno penetrare dalla luce creando sempre nuove forme.

4. Spesso le tue opere, fatte di carta lasciata naturale e caratterizzate da un’elegante purezza, sono interamente bianche, oppure giocano sul contrasto del bianco con il nero dell’inchiostro, per quale ragione il colore non entra mai nei tuoi lavori?

A.G

In prima analisi sono un essere della materia. A me piace sempre lavorare con le qualità di un materiale, con le sue possibilità allo stato puro. In questo caso il colore mi sembrerebbe artificiale – come il trucco. Questa purezza attrae l’osservatore in modo diretto.

Il “bianco” puro della carta viene rotto da una quantità di luce e ombra che ne amplifica l’effetto spaziale.  Le ombre variano in tutte le scale di grigio e si proiettano sui muri. Cosi i lavori si espandono nello spazio e si crea un dialogo tra la materia, la luce, l’ombra e lo spazio che è tutto altro che assenza di colore.

5. Recentemente hai realizzato una grandiosa e coinvolgente installazione presso la Conferenceroom di Francoforte, come è nato quel lavoro?

A.G

Fino ad oggi questo è forse la più libera traforazione. Si sviluppa dal muro al soffitto; dentro lo spazio.  Inizialmente l’opera è larga solamente mezzo metro per poi arrivare a tre metri, quando è diventata nove metri di lunghezza.

Per me è interessante lavorare in luoghi lavorativi. Si pone come una sfida, creare un’atmosfera speciale, cambiare lo spazio in modo positivo tramite una scultura.

Prima preparo i modelli in scala 1:10 per concepirne l’effetto spaziale. Per me è sempre sorprendente quanto si può già leggere in questi modelli i diversi fenomeni spaziali.  I pezzi difficili, soprattutto quelli di ‘transito’, per esempio dal muro al soffitto, li costruisco in scala 1:5 e cosi provo tutte le posizioni possibili.  Questi modelli servono anche come matrice per la costruzione in acciaio – i tubi piegati e i ganci.

E’ sempre molto eccitante vedere i cambiamenti in sito. Solo li, i pezzi vengono assemblati e finalmente e definitamene armonizzati. Man mano la scultura cresce nello spazio e lo conquista.   

Cristina Marinelli

 Traduzioni: Gudrun Strümpf De Felice,

Dr. Lisa Hockemeyer

 

 

Dal materiale al di là del materiale

Angela Glajcar è una scultrice: strappa e perfora la carta. Delicatezza è robustezza, e la tenerezza è monumentale. Come materiale artistico, la carta ha fatto piuttosto tardi il suo ingresso nella terza dimensione. Per lungo tempo, è stata semplicemente sostegno per il disegno, l'acquarello o la grafica. È stato solo l’interesse dei moderni per le proprietà sensuali intrinseche nei diversi materiali a portare a un allargamento delle possibilità, tra cui l’impiego della carta come materiale artistico grezzo, per sé. Due

aspetti che hanno un significato importante. Da un lato, il ritorno a modalità obsolete di fabbricazione manuale, si pensi ai procedimenti utilizzati da Helmut Dirnaichner, il quale crea carta cui aggiunge pigmenti minerali macinati. Dall’altro lato, la carta ha trovato applicazione come materiale plastico, per segnalare vulnerabilità, fragilità e caducità; questo discorso vale per alcuni lavori di Angela Flaig, tra gli altri, che dalla cellulosa crea forme simili a bozzoli, o certi oggetti di Elisabeth Wagner, che con la

carta ricrea oggetti pesanti di uso comune, come pentole e mestoli. Tuttavia, in nessuno di questi esempi il prodotto finale, pressato ed essiccato, lisciato, incollato, dipinto e tagliato accuratamente in strisce esatte, diviene soggetto immediato o argomento dell’intervento artistico. La carta impiegata è fatta a mano (Dirnaichner) o possiede una funzione pratica (Flaig, Wagner). Qui sta la differenza fondamentale con le opere di Angela Glajcar. I suoi oggetti, i rilievi e le installazioni, non si basano soltanto su carta di alta qualità, prodotta con tecniche avanzate – anzi Glajcar ci tiene a sottolineare l’origine industriale del suo materiale: quando lascia che lunghe strisce di carta ricadano nello spazio in un’ampia onda, lo fa in modo tale che la delicatezza, la flessibilità e la fluidità del materiale siano ben visibili. Ma richiama contemporaneamente l’attenzione sui margini affilati dove le strisce e i fogli sono stati tagliati, proprio come fa con le sculture incavate. L’origine industriale degli oggetti, che Angela Glajcar ha raggruppato in un gruppo unico sotto il nome di “Terforazioni”, salta immediatamente all’occhio. Soprattutto là dove una forma cubica rigorosa emerge da singoli fogli di carta, sovrapposti uno sull’altro, diviene essenziale che la dimensione e la proporzione dell’opera derivino dal formato e dal numero standard dei fogli accatastati. In questo senso Glajcar fa sua una nozione concettuale-concreta di plasticità. L’oggetto d’arte diventa una circostanza spaziale, determinata quindi da fattori e componenti strettamente definiti. Glajcar si muove all’interno di questa cornice esplicitamente calcolata, per poterla al tempo stesso rompere e farla esplodere. Contro le condizioni oggettive si pone un momento soggettivo: l’artista strappa pezzi di diverse dimensioni da ogni singolo foglio, a volte nel centro, a volte sui lati. I margini di queste lacerazioni corrono irregolarmente, ma non casualmente. Ogni intervento nell’incolumità di ciascun foglio è riferimento al foglio precedente; e diviene, al tempo stesso, la base per la composizione dei fogli successivi. Questa procedura si ripete fino a che dai rettangoli di carta disposti uno sull’altro emerge il negativo di una forma. Un cratere, simile ad una caverna o ad una baia, grezzo e frastagliato. In sequenza, per addizione, foglio sopra foglio, strato dopo strato, Glajcar costruisce situazioni. Questa procedura è conforme ai precetti dell’arte concreta nella misura in cui la costruzione dell’oggetto segue regole chiare e trasparenti. Inoltre, l’approccio di Glajcar è concettuale, in quanto ogni oggetto può essere decomposto e ricomposto, ovvero sovrapposto, un numero infinito di volte. Le istruzioni racchiudono l’opera stessa. Tuttavia l’artista non si limita a specificare i parametri della composizione, lasciandone la realizzazione ad altri (i “Wall Drawings” di Sol LeWitt sarebbero un esempio di questo metodo operativo). Glajcar dà molta più importanza alla figura dell’autore; infatti, non soltanto lascia un segno su ogni singolo foglio di carta, attraverso una modificazione cosciente, ma indirizza l’intero mutamento a uno scopo. Nel corso del processo di lavorazione, Glajcar traduce le percezioni dello spazio in una realtà tridimensionale. Queste percezioni possono inizialmente apparire vaghe, ma divengono a poco a poco sempre più accurate. Nondimeno, restano sempre chiari i principi compositivi da cui parte l’artista e a cui rimane sempre fedele, durante le diverse fasi di lavoro. Angela Glajcar si è formata nella tradizione moderna, e le sue basi estetiche emergono nella maniera in cui modella volumi così come nell’incisività con cui articola il rapporto tra interno ed esterno. Glajcar ha fatto il suo ingresso nell’arte attraverso un dibattito sull’aspetto tangibile-industriale di materiali quali il legno e la pietra. Più avanti, durante gli studi con Tim Scott all’Accademia delle Arti di Norimberga, ha scoperto un altro materiale, l’acciaio. Questo periodo ha generato una serie di metal-plastiche. Tuttavia, si è lentamente risvegliato un rinnovato interesse per il legno. Sul finire degli anni novanta, Glajcar ha cominciato a creare immense strutture, servendosi di tronchi massicci, caratterizzate da cospicue intaccature, larghi solchi e grandi curve. Queste sculture si ergono nello spazio come corpi imponenti, estendendosi a dismisura, possenti e titaniche. L’artista esibisce queste opere sotto il nome di “Corrispondenze nello Spazio”, donandoci in questo modo una parola chiave, che descrive un momento centrale del suo lavoro. Sia che operi con la carta o con la plastica, con acciaio e legno, Glajcar dirige la propria attenzione sulle condizioni di interazione, relazione, dialogo o contrasto. Per un gruppo di sculture in legno, dunque, si è ispirata alla tecnica di costruzione giapponese del ‘noyane’, in cui sotto l’involucro esterno dell’architettura viene introdotto un cosiddetto ‘tetto nascosto’, nel centro di un sofisticato sistema di legami e nodi. Nel ‘noyane’ la stabilità è mantenuta grazie alla creazione di un equilibrio perfetto; per questa ragione, è stato preso a modello da Angela Glajcar per la propria arte. Infatti, il momento centrale sta nell’equilibrare, laddove il risultato può sembrare instabile e vulnerabile, poiché gli opposti si incontrano ed emergono le tensioni tra gli elementi, fra condizioni e posizioni contrastanti. Queste polarizzazioni, siano latenti o evidenti, formano spesso il fondamento semantico dei lavori di Glajcar. Appaiono nei fogli di carta, la cui meccanica perfezione viene in alcuni punti intaccata dall’azione manuale, venendo così a simbolizzare il suo contrario, e fornendo un’antitesi individuale ai beni industriali standard. Coppie di contrari si manifestano anche nei collages, dove il nero si contrappone al bianco, accanto all’alternarsi tra intagliature nette e contorni imprecisi - strappati a mano. Sono evidenti nelle grandi installazioni, dove strisce di carta lunghe decine di metri infondono leggerezza, con le loro morbide onde, a dispetto del considerevole peso. E tali polarizzazioni caratterizzano altresì le sculture in legno, anch'esse piuttosto pesanti, benché posseggano una certa flessuosa levità, in certi punti quasi danzante. In particolare, le “Corrispondenze nello Spazio” richiamano associazioni antropomorfiche. Il primo pezzo del gruppo di opere ricorda un torso umano, e nelle altre sculture è possibile identificare membra umane, figure che si reclinano, rannicchiandosi l’una nell’altra, ed ecco apparire una testa, che giace stanca sul corpo goffo. Eppure, Glajcar non intende attribuire ai suoi oggetti, rilievi o alle sue installazioni un valore associativo. Ogni forma, a prescindere dal materiale, è sviluppata essenzialmente dal materiale e determinata dal processo di lavorazione. Non c'è mai il tentativo di inserire nella struttura formale elementi narrativi o allusioni figurative. Quando le opere di Glajcar riportano alla mente immagini o visioni che oltrepassano il particolare contesto formale, tali interpretazioni sono esclusivamente frutto dell’osservatore. Ciò nonostante, le sculture di legno e le opere di carta sono a tal punto determinate dalla loro stessa consistenza, che è facile assegnare loro significati della realtà quotidiana di cui sono impregnate. L’arte di Glajcar è eclettica, non solo nel significato reale del termine, nel momento in cui dispone i fogli di carta a lamelle, uno sull’altro, ma anche in senso metaforico. Permette di proiettare su ogni singolo oggetto esperienze personali e collettive, immaginazione e fantasie. In questo senso, è la continuazione di quello che Umberto Eco ha definito come “L’opera Aperta” (1). Se parametri come proporzione, cammino lineare, relazione tra luce e ombra o estensione nello spazio sono considerati la semantica dell’arte, allora concetti come apertura e indeterminazione sollevano delle questioni. Domande relative al fattore scatenante del processo associativo: perché questo oggetto ci dà l’impressione di una caverna? O: il legame con la luce influisce sull’inconscio, sciogliendo sensazioni che rimandano all’era ontogenetica primordiale? La combinazione di effetti luminosi con la progressiva profondità spaziale, spesso utilizzata da Glajcar, ci conduce inevitabilmente a pensare all’allegoria platonica della caverna e di conseguenza alla sua teoria delle idee, in cui tutto ciò che prende forma esiste già come immagine ideale, ovvero idea. Ed ecco riemergere questioni relative ai processi cognitivi e all’esistenza umana. Per un filosofo come Georg Wilhelm Friedrich Hegel, tali tematiche possono essere espresse unicamente in un materiale duro e permanente; “il più immediato” secondo la nozione di Hegel di marmo, “nello scopo della scultura” (2). Glajcar dimostra che anche materiali meno duraturi e nobili sono divenuti, per così dire, compatibili con l’arte. Inoltre mette in luce quanto profondamente l’arte sia penetrata nella vita di tutti i giorni, abbandonando le supreme sfere chiuse dei templi e dei palazzi.

Michael Hübl