Rodolfo Aricò - Esposizioni

Esposizioni personali (selezione)

Rodolfo Aricò, Salone Annunciata Archiviato l'11 maggio 2018 in Internet Archive., Milano, 1959.

Aricò, Salone Annunciata Archiviato l'11 maggio 2018 in Internet Archive., Milano, 1966.

Aricò 67, Galleria L’Attico, Roma, 1967.

Rodolfo Aricò. XXXIV Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia (Sala Personale), Padiglione Centrale, Venezia, 1968.

Pondus. Mostra personale di Rodolfo Aricò, Salone Annunciata Archiviato l'11 maggio 2018 in Internet Archive., Milano, 1969.

Rodolfo Aricò, Palais des Beaux-Arts, Bruxelles, 1969.

Aricò, Deson-Zaks Gallery, Chicago, 1969.

Rodolfo Aricò, Studio La Città, Verona, 1972.

Rodolfo Aricò, Palazzo Grassi, Centro Internazionale delle Arti e del Costume, Venezia, 1974.

Aricò, Padiglione d’Arte Contemporanea - Parco Massari, Ferrara, 1977.

Rodolfo Aricò. Mito e architettura, Casa del Mantegna, Mantova, 1980.

Rodolfo Aricò, Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano (con Gianni Colombo), 1984.

Rodolfo Aricò, Galleria Turchetto/Plurima, Milano, 1989.

Aricò ’70. Carte, progetti, tele. Anni ’60 e ’70, Studio Carlo Grossetti, Milano, 1991.

Aricò. Pitture recenti, Lorenzelli Arte, Milano, 1993.

Rodolfo Aricò, Galleria Turchetto/Plurima, Milano, 1994.

Rodolfo Aricò, Galleria Corraini, Mantova, 1994.

Rodolfo Aricò. Sere, A arte Studio Invernizzi, Milano, 1997.

Aricò, Spazio Annunciata Archiviato l'11 maggio 2018 in Internet Archive., Milano, 2001.

Im Element. Die Kraft des Kosmischen und des Irdischen im Werk von Rodolfo Aricò und Rudi Wach, Kaiserliche Hofburg Innsbruck, Innsbruck; Palazzo Trivulzio, Melzo, 2003.

Rodolfo Aricò. Anti-form. Works 1958-1975, Barbara Behan Contemporary Art, Londra, 2005.

Rodolfo Aricò. Annäherungen an das Absolute, Institut Mathildenhöhe Darmstadt, Darmstadt, 2005.

Rodolfo Aricò. Un erotico germinante. L’opera di Rodolfo Aricò negli anni Ottanta, A arte Studio Invernizzi, Milano, 2009.

Rodolfo Aricò, in Postwar. Protagonisti italiani, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, 2013.

Rodolfo Aricò. Pittura inquieta. Gli anni Novanta, Gallerie d’Italia - Piazza della Scala, Milano, 2014.

Omaggio a Rodolfo Aricò, Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, 2014.

Rodolfo Aricò. Line of Demarcation, Luxembourg&Dayan, Londra, 2016.

Esposizioni collettive

Mostra della giovane pittura italiana,Yale University, New Haven, 1957.

Giovani artisti italiani, Palazzo della Permanente, Milano, 1958.

Possibilità di relazione, Galleria L’Attico, Roma, 1960.

7 Italian Artists, Cambridge Art Association, Boston, 1961.

A First American Showing of 7 Young Artists from Milan, Cambridge Art Association, Boston, 1962.

Alternative attuali. Rassegna Internazionale. Architettura, pittura, scultura d’avanguardia, Castello Cinquecentesco, L’Aquila, 1962.

Oltre l’Informale. IV Biennale Internazionale d’Arte, Palazzo del Kursal, San Marino, 1963.

VII Bienal de São Paulo, San Paolo, 1963.

XXXII Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Padiglione Centrale, Venezia, 1964.

IX Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1965.

Aspetti dell’Arte Italiana Contemporanea, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 1966.

XXIème Salon des Réalités Nouvelles, Parigi, 1966.

XXXIV Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Padiglione Centrale, Venezia, 1968.

Painting & Sculpture Today, Indianapolis Museum of Art, Indianapolis, 1970.

I Mostra Internazionale d’arte “Hommage à Joan Miró”, Ciutat de Granollers, Barcellona, 1971.

Aricò, Ortelli, Plessi, Pozzati, Sarri. XXXVI Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Padiglione Venezia, Venezia, 1972.

Iononrappresentonullaiodipingo, Studio La Città, Verona, 1973.

Peinture italienne aujourd’hui. Italian Painting Today. Pittura Italiana Oggi, Galerie Espace, Montréal; Galerie Templon, Parigi, 1975.

I nodi della rappresentazione, Pinacoteca Comunale, Loggetta Lombardesca, Ravenna, 1978.

Arti Visive ’82. XL Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Padiglione Centrale, Venezia, 1982.

1960-1985. Aspekte der italienischen Kunst, Frankfurter Kunstverein, Frankfurt am Main; Haus am Waldsee, Berlino; Kunstverein Hannover, Hannover; Bregenzer Kunstverein Künstlerhaus, Bregenz; Hochschule für angewandte Kunst, Vienna, 1985.

Colore. Teoria, ricerca, intuizione. XLII Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Giardini di Castello, Corderie dell’Arsenale, Venezia, 1986.

Il museo degli artisti, Spazio espositivo Augusta Manzoni, Morterone, 1988.

Impegno e poetica della pittura italiana, Auditorium Opera Pia De Ferrari, Moconesi; Museo Casabianca, Malo; Galleria San Luca, Bologna, 1992.

Venezia e la Biennale: percorsi del gusto. XLVI Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia, Palazzo Ducale e Ca’ Pesaro, Venezia, 1995.

Gefühle der Konstruktion. Künstler in Italien seit 1945. Il sentimento della costruzione. Artisti in Italia dal dopoguerra ad oggi, Museum Rabalderhaus, Schwaz, 1997.

Proiezioni 2000. Lo spazio delle arti visive nella società multimediale. XIII Esposizione Nazionale Quadriennale d’Arte di Roma, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 1999.

Zwischen Figur und Körper. Aspekte der italienischen Kunst der Nachkriegszeit. Il corpofigura dell’immagine. Aspetti dell’arte italiana dal dopoguerra ad oggi, Städtische Galerie Rosenheim, Rosenheim; Musei Civici Villa Manzoni, Lecco; Städtische Galerie Villa Zanders, Bergisch Gladbach, 2000.

Pittura Analitica. I percorsi italiani 1970-1980, Museo della Permanente, Milano, 2007.

Hot Spots. Rio de Janeiro / Milano-Torino / Los Angeles 1956 - 1969, Kunsthaus Zürich, Zurigo, 2009.

Temi & Variazioni. Dalla grafia all’azzeramento, Peggy Guggenheim Collection, Venezia, 2009.

Gli irripetibili anni 60. Un dialogo tra Roma e Milano, Fondazione Roma Museo - Palazzo Cipolla, Roma, 2011.

Cantiere del’900. Opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano, 2012.

Postwar. Protagonisti italiani, Peggy Guggenheim Collection, Venezia, 2013.

Felipe Cardena - Testi

Conversazione tra Luigi Sansone e Gillo Dorfles intorno al lavoro di Felipe Cardeña, alla sua figura di artista eclettico e misterioso e al significato del kitsch nell'arte contemporanea

Sansone Felipe Cardeña ha una biografia strana e complessa. Intorno al suo nome si alternano le voci più singolari, gossip, pettegolezzi... prima faceva il mimo di strada: questo è storicamente vero e accertato, dal momento che è stato visto da numerose persone in una mostra a Milano, nel 2005 (intitolata Miracolo a Milano), rappresentare un San Giovanni decollato. Già in quel periodo praticava una strana forma di street art, appiccicando fiori di carta sui muri per strada, in ogni parte del mondo... anche questo è accertato, visto che ci sono numerose foto dei suoi fiori, che risalgono a una decina d'anni fa, attaccati in luoghi strategici in giro per il mondo, da Cuba alla Russia al Nord Europa fino alla Thailandia. Poi, però, piano piano la sua presenza reale è come svanita nel nulla, e, attorniato da una vera e propria "bottega" di aiutanti, è definitivamente approdato all'art collage, con originali composizioni su tela, utilizzando come medium esclusivo la carta...

Dorfles Trovo già molto interessante questo fatto. Di sicuro non è un artista qualsiasi: per questo è molto difficile da collocare nel panorama dell'arte contemporanea. Ci sono casi analoghi, nella storia dell'arte e anche nella letteratura, di artisti che si spogliano della propria identità come operazione raffinata e consapevole, con risvolti che si potrebbero definire concettuali. Anche questo elemento, a mio avviso, è situabile in un ambito kitsch, ma di un kitsch estremamente colto, evoluto...

Sansone Questo elemento è molto importante. Felipe è, quindi, una creatura kitsch già a cominciare dalla sua biografia, non lineare e volutamente contraddittoria, modellata a bella posta per alimentare voci, pettegolezzi e anche discussioni che hanno a che fare con l'identità mutante, con il senso del fare arte e con i meccanismi del successo nella civiltà di massa...

Dorfles Certo. Il kitsch si nutre e vive sempre e soltanto all'interno dei meccanismi della cultura di massa, che del "kitsch diffuso" è poi il più grande motore...

Sansone Nel tuo libro sul kitsch, parlavi proprio dell'industrializzazione culturale come elemento fondante per la creazione di quel kitsch diffuso, "ubiquitario" e trionfante ovunque, ben più della stessa arte con la "A" maiuscola...

Dorfles Sì, anche se starei attento a non mescolare tre elementi diametralmente differenti: da una parte c'è un kitsch diffuso ovunque, appunto, quello della paccottiglia che si vende sui mercatini o nei negozi di souvenir; dall'altra c'è poi il kitsch di artisti che, credendo di fare opere di gusto "alto", in realtà fanno della cattiva pittura o comunque della cattiva arte, cioè di gusto estremamente discutibile, e in questo modo finiscono in un kitsch per così dire involontario e non calcolato; infine ci sono poi quegli artisti - come Salvador Dalì o Enrico Baj, tanto per fare due esempi ormai storicizzati: ma anche, oggi, un artista insolito e interessante come Felipe Cardeña -, che costruiscono, quasi a tavolino , potremmo dire, un'operazione raffinata di "kitsch elitario", dal gusto estremamente colto e raffinato...

Sansone Sono proprio questi gli artisti su cui abbiamo imbastito la mostra Oggi il kitsch alla Triennale di Milano nel 2012: che partiva da nomi storici come Dalì, Savinio, Usellini e Meret Oppenheim, passando per personalità attive negli anni Sessanta e Settanta come Enrico Baj, fino ad arrivare ad esempi di artisti contemporanei oggi anche molto in voga, come Luigi Ontani, Cracking Art, Corrado Bonomi e, appunto, Felipe Cardeña. Oltre a personaggi irregolari e fuori dal sistema dell'arte come Rudy van der Velde...

Dorfles Sì, anche se quello di van der Velde è un caso ancora diverso, direi, proprio per il suo essere una personalità fuori dal sistema, un artista che definirei 'completamente kitsch' nella sua essenza più profonda. Mentre nel caso, appunto, di Felipe Cardeña, andrebbe sottolineato che si tratta di arte volutamente kitsch, di un kitsch elitario, non involontario o casuale...

Sansone Un kitsch aulico?

Dorfles Sì, aulico, elitario, ricercato... certamente non "di massa". Non è il kitsch del quadretto che si vende alla bancarella, per capirci. Proprio per la sua raffinatezza non è facile da imporre al pubblico, alla critica e al mercato: è sulla linea di Baj.

Sansone Volendo, lo potremmo definire anche un kitsch concettuale.

Dorfles Certo, perché è un kitsch che ha, dietro di sé, già delle premesse culturali molto forti: si sente, anche guardando i quadri, che c'è dietro una grande conoscenza della storia dell'arte e dei meccanismi del sistema dell'arte... Oltretutto, poi, Cardeña è anche un artista molto immaginifico e fantasioso, e quindi merita di essere preso in considerazione come artista autentico, e non involontario o dilettante.

Sansone Però si deve anche sottolineare che non c'è, come avviene invece in molta arte concettuale, un rifiuto della piacevolezza e del decorativismo. Al contrario...

Dorfles Assolutamente. Quelle di Cardeña sono opere molto piacevoli alla vista, esteticamente ricche, esuberanti, decorative. Ma tieni presente che la piacevolezza, la seduzione e il decorativismo fanno anch'esse parte dell'essenza profonda del kitsch, sono tipiche delle opere kitsch, di quelle volontarie come di quelle involontarie. Pensiamo ai souvenir, alla paccottiglia da mercatino... è molto spesso piacevole, divertente, esteticamente ammiccante, anche se quasi sempre di cattivo gusto. Ma anche le opere volutamente kitsch, appunto, come quelle di Baj o di Cardeña, giocano sulla seduzione e sulla piacevolezza: la differenza con le prime è che quelle hanno, per così dire, una piacevolezza volgare, mentre queste sono più raffinate, più colte, più esigenti. Si tratta di una forma di kitsch ricercato apposta per ottenere un effetto artistico di gusto anomalo, originale, fuori dagli schemi.

Sansone Anche la scelta di utilizzare i fiori come sfondo è piuttosto insolita, visto che per tutto il Novecento il genere floreale è stato considerato appannaggio della pittura di serie B, di un certo decorativismo da salotto piccolo-borghese, o addirittura da pizzeria...

Dorfles Ma certo, anche questo fa parte di una scelta estetica volutamente anticonformista. Ma non è tanto nella scelta dell'utilizzo dei fiori in se stessi che sta l'operazione interessante: se Felipe avesse fatto della 'normale' pittura di fiori, sarebbe un artista banale, poco interessante. Quello che lo rende eccentrico, bizzarro, oltre che kitsch, è invece proprio la sovrabbondanza, l'eccesso: è lì che il lavoro di Cardeña si colora di tinte kitsch, nell'eccesso di decorativismo, nella scelta di non lasciare respiro all'occhio, nel riempire la superficie fino all'ossessione...

Sansone L'utilizzo dei fiori però mi ricorda anche Andy Warhol, che negli anni Sessanta ha riscoperto il decorativismo floreale come operazione strettamente pop.

Dorfles Anche in quel caso si trattava di un'operazione estremamente colta e raffinata: Warhol sapeva benissimo quello che faceva, non lo faceva in maniera ingenua o involontaria. Giocava, in maniera consapevole, coi generi tradizionali e con gli stilemi della storia dell'arte...

Sansone In un certo senso anche Felipe ha un gusto molto "pop", potremmo dire che è un artista che sta a metà strada tra il kitsch e il pop. E poi, anche la continua citazione e rimescolamento di elementi discordanti, prelevati da giornali, cataloghi, riviste, persino veri gioielli applicati sulla tela...

Dorfles La sovrapposizione di elementi provenienti da ambiti diversi è una pratica tipica del kitsch. Per non parlare di quei gioielli, di quegli strass e perline che svettano, che aggettano dalla tela... o delle ricche cornici dal sapore orientale... fa tutto parte del rimescolamento e riposizionamento di generi e di culture che è la quintessenza del kitsch, uno dei suoi connotati fondamentali e distintivi. Anche il richiamo ai gioielli è interessante, del resto, perché la moda, da sempre, si nutre di elementi kitsch.

Sansone A questo proposito c'è un episodio interessante. Gli stilisti Dolce & Gabbana hanno fatto una maglia che ricorda molto da vicino un'opera di Felipe. Sembra quasi che sia ispirata direttamente a un suo quadro, tanto è forte la somiglianza...

Dorfles L'ambiguità è un'altra delle caratteristiche tipiche del kitsch, e della cultura contemporanea in generale. Una cosa rimanda sempre all'altra, ogni creazione si nutre di altre creazioni. Nulla è più originale in senso assoluto, come avveniva un tempo.

Sansone A proposito di ambiguità, anche la tecnica utilizzata da Cardeña è estremamente ambigua e sviante: a volte, guardando le fotografie dei quadri, non si riesce a capire se si tratti di collage o di pittura, tanto sono definiti e accurati. Vengono in mente addirittura certe opere quattrocentesche verniciate con la tempera grassa, si perde quasi il collage...

Dorfles Ma sì, in fondo la tecnica con cui sono composti ha poca importanza. Anche se fossero riprodotti in centinaia o in migliaia di esemplari, non perderebbero mai la loro aura di opere d'arte elitarie e raffinate. Del resto, il kitsch, come il pop, ci ha insegnato che oggi tutto è riproducibile, ogni opera d'arte può essere replicata all'infinito senza che perda nulla della sua originalità e della sua forza. E il lavoro di Felipe Cardeña non fa differenza: la sua forza è nell'idea che vi sta dietro e nell'immagine finale, non nella tecnica a cui si è ricorsi per realizzarla.

Carlo Battaglia - Esposizioni

1963 – Collettiva

Rassegna d’Arti Figurative di Roma e del Lazio, Roma Premio Marche, Ancona

1964 – Personale

Galleria La Salita, Roma

1964 – Collettiva

Premio Silvestro Lega, Modigliana “Arte Nuova”, Lunds Konsthall, Lund (Svezia)

1965 – Personale

Galleria La Metopa, Bari

1965 – Collettiva

Premio Michetti, Francavilla a Mare Rassegna d’Arti Figurative di Roma e del Lazio, Roma Premio Termoli, Termoli

1966 – Personale

Galleria Salone Annunciata, Milano

1966 – Collettiva

“Peintures italiennes d’aujourd’hui”, Teheran “Nuove proposte”, Galleria Arco d’Alibert, Roma Prima Mostra Romana del Sindacato degli Artisti, Circolo Culturale Colonna Antonina, Roma

1968 – Personale

Galleria Arco d’Alibert, Roma Galleria Salone Annunciata, Milano Qui Arte Contemporanea (con / with Nicola Carrino), Roma

1968 – Collettiva

VI Biennale di Roma “1968”, Galleria Salone Annunciata, Milano “Report”, Settimana Internazionale di Palermo, Palermo

1969 – Personale

Galleria Arco d’Alibert, Roma Galleria Salone Annunciata, Milano Qui Arte Contemporanea (con / with Nicola Carrino), Roma

1969 – Collettiva

Galleria Christian Stein, Torino “Aricò – Battaglia – Marzot”, Galerie Leger, Malmö (Svezia) “Klub Konkretistu”, Galleria Umeni, Karlovy Vary (Cecoslovacchia) Istituto Italiano di Cultura, Copenhaghen

1970 – Personale

Galleria Salone Annunciata, Milano XXXV Biennale di Venezia, Sala personale

1971 – Personale

Deson-Zaks Gallery, Chicago Galleria Salone Annunciata, Milano

1971 – Collettiva

“Works on paper”, Art Institute, Chicago

1972 – Personale

Galleria Peccolo, Livorno Qui Arte Contemporanea, Milano Westend Galerie, Francoforte Studio 3Bi (Galleria II Sole), Bolzano

1972 – Collettiva

Premio Sironi, Sassari “Per pura pittura”, Centro La Capella, Trieste “Progetto e immagine”, Centro Culturale Nuova Dimensione, Pescara “Giovani artisti italiani”, Södertalje Stad (Svezia) XXVI Premio Michetti, Francavilla a Mare “Proposta a quattro – Battaglia, Olivieri, Guarneri, Verna”, Galleria del Milione, Milano “Il gioco delle parti”, Galleria Vinciana, Milano Galleria Editalia, Roma

1973 – Personale

Galleria Godel, Roma Nuova Arte Moderna, Prato

1973 – Collettiva

X Quadriennale Nazionale d’Arte, Roma “Iononrappresentonulladipingo”, Galleria Studio La Città, Verona “Ricognizione 73”, Santa Maria Capua Vetere; Galleria Seconda Scala, Roma “Tempi di percezione”, Casa della Cultura, Livorno; Galleria La Polena, Genova; Galleria Sangallo, Firenze “Fare pittura”, Museo di Bassano del Grappa, Palazzo Sturm; Galleria La Piramide, Firenze

1974 – Personale

Galleria Salone Annunciata, Milano Palazzo Grassi Venezia (mostra antologica / anthological exhibition 1967-1974) Studio Nino Soldano, Milano Galleria Claudio Bottello Arte, Torino

1975 – Personale

Galleria Il Sole, Bolzano Galleria Il Segnapassi, Pesaro Galerie Daniel Templon, Parigi Galleria La Bertesca, Genova

1976 – Personale

Galerie Arnesen, Copenhagen Galerie La Bertesca, Düsseldorf Palazzo dei Diamanti, Ferrara (mostra antologica / anthological exhibition) Galleria Salone Annunciata, Milano

1977 – Personale

Galleria Il Sole-grafica, Bolzano Galleria La Bertesca, Roma Galleria Arnesen, Copenhagen Studio Ennesse, Milano Galleria Il Sole, Bolzano

1978 – Personale

Galleria E Tre, Roma Kunsthalle, Düsseldorf Galleria Cesarea, Genova

1979 – Personale

Galleria Sagittario, Perugia Sala Comunale d’Arte Contemporanea, Alessandria

1980 – Personale

Ann Jacob Gallery, Atlanta Sergio Tosi Gallery, New York Studio Grossetti, Milano XL Biennale di Venezia, Sala personale Galleria Tanit, Monaco Galleria Il Sole, Bolzano

1981 – Personale

Lo Spazio, Napoli

1983 – Personale

Galleria Il Sole, Bolzano Galleria Albrecht, Pianizza di Sopra, (Bolzano) Galleria L’Isola, Roma Studio Carlo Grossetti, Milano

1984 – Personale

Ann Jacob Gallery, Atlanta

1985 – Personale

Galleria Arte Duchamp, Cagliari Galleria L’Isola, Roma

1986 – Personale

Galleria Forzani, Terni Museo Civico d’Arte Contemporanea, Gibellina (mostra antologica) Studio Marconi, Milano

1987 – Personale

Galleria Ellequadro, Genova

1988 – Personale

Galleria L’Isola, Roma Galleria L’Iride, Nuoro

1989 – Personale

Deson-Saunders Gallery, Chicago Galleria Trimarchi, Bologna

1991 – Personale

Galleria L’Isola, Roma Galleria Paola Steltzer, Trento

1994 – Personale

Galleria L’Isola, Roma

1996 – Personale

Galleria L’Isola, Trento

1998 – Personale

“Lo studio dell’arcipelago”, Assessorato alla cultura La Maddalena

2000 – Personale

L’Isola, Trento

2001 – Personale

Rossi & Rossi Ltd., Londra, Caro Battaglia paintings 1995-2000.

2002 – Personale

9, Via della Vetrina Contemporanea, Roma

2003 – Personale

Villa Vogel in collaborazione con / in collaboration with Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato

2005 – Personale

Jason McCoy Gallery, New York

2006 – Personale

Istituto Italiano di Cultura, Los Angeles (dal 30 gennaio / from January, 30). Mostra itinerante, Istituto Italiano San Francisco; Istituto Italiano di Cultura, Vancouver (19 maggio 7 May – 16 giugno / June).

2010 – Personale

Donazione Battaglia-Panicali, Pinacoteca Mus’ a al Canopoleno (dal 24 settembre / from September, 24)

2015 – Personale

Carlo Battaglia una pittura esemplare. (a cura di Marco Meneguzzo) Labs Gallery, Bologna (dal 7 novembre 2015/ al 15 febbraio 2016 / from November 7th to Febbrary, 15th 2016)

2016 – Personale

Carlo Battaglia early paintings 1968/1973. (a cura di Marco Meneguzzo) Grossetti Arte, Milano (dal 25 ottobre al 18 novembre 2016 / from October 25th to November, 18th 2016)

Amarildo Ruçi - Testi

Il bisogno dell'essere umano di esprimersi fin dagli albori della civiltà, prima della scrittura, fu estetica: mani sulle pareti, le prime pitture rupestri...

Oggi nell'era dell'imperiosa immagine ormai superdigitale(mi piacerebbe capire come digitale, cioè dal dito sia diventata...) il lavoro pittorico di Amarildo Ruçi ci riporta all'istintivo bisogno di comunicare tramite le immagini senza filtri e strumenti, con le sue dita, unghie comprese, sicuro, veloce, dimostra oggi il suo talento. Le sue origini balcaniche e la sua "ingenuità concettuale" sono ben rappresentate in questa mostra con tre cicli di lavori.

Il primo (2016) una rappresentazione, quasi sconcertante, di una pittura assolutamente istintiva e naïf, dal leone alla figura umana, una faticosa stratificazione di gesti con ottimo risultato.

Il secondo è un racconto ludico. Il gioco del mondo, che tutti i ragazzi, prima dell'avvento del web hanno praticato, disegnando con un gesso sul pavimento e dopo aver lanciato un sasso, saltavano sul mondo. Un approccio alla pittura con regole geometriche e astrazione del numero, visibile nell'opera XXX: un racconto da destra a sinistra, dall'alto in bass, da un primo quadrato che contiene un punto, l'idea di nascita in uno spazio, il cerchio nel quadrato, idea già di un esser nel ventre materno, l'evoluzione del cerchio che si libera dal quadrato fino a distaccarsi e lentamente per ritornare poi all'origine.

Il terzo ciclo (2019) sono le "sospensioni". Un rapporto tra la materia e lo spirito. La possibilità di liberarsi dal proprio limite. Qui si può leggere bene la visionarietà che l'artista esprime, tra il fantastico, il surreale e un tocco di pop.

Bruno Grossetti

Carla Mura - Testi

Luca Beatrice, curatore d’arte ormai noto dice  di lei : È sufficiente una linea per rappresentare una città. Guardiamo un colore e vediamo un intero paesaggio. Nei segmenti e nei pattern cromatici di Carla Mura ci sono visioni di panorami, aperture su strade e città, finestre di una casa metropolitana, vetri opachi di un vagone di un treno, forse di un autobus, segnati dalla pioggia o dalla polvere stratificata. Non c’è rappresentazione eppure crediamo di vederli. Il bisogno di realtà impone di attribuire nomi all’astrazione. In alcuni casi viene in aiuto il titolo: “Libellula”, “Pullman”, “Metropoli”.

Il filo di cotone si sostituisce così ad acrilici e olii in risultati di sorprendente armonia cromatica e di cartesiana –nel senso di equilibrata- composizione visiva.

Da Kiki Smith a Claudia Losi e ancor più esplicitamente nel lavoro dell’egiziana Ghada Amer, il ricamo diventa cifra stilistica per riflettere sulla dimensione della femminilità nella cultura dominante.Carla Mura, diversamente dalle sue contemporanee, abbandona la figurazione per giocare in maniera più ironica con il materiale che diventa il soggetto stesso della rappresentazione. Come lei la giapponese Minjung Kim (utilizzando la carta velina) o l’argentina Alejandra Padilla (con la carta di giornale pressata). Certo i riferimenti estetici non le mancano, ma l’operazione di Carla Mura è meno fredda e distaccata dei suoi padri concettuali; in lei la manualità, l’azione associata al risultato ottenuto, rivela una visionarietà diversa, come detto, più intima.

Sono dettagli e ingrandimenti che fanno parte di un insieme reale ricostruito solo percettivamente. Allo stesso modo, l’abitudine alla visione fa nascere il dubbio che si tratti di pittura, di una stesura a olio graffiato di matrice espressionista. Lo sguardo disattento e sfocato fa pensare a un pennello spesso di colore trascinato sulle tele, come quelle dell’inglese Jason Martin e, prima ancora, del grande francese Pierre Soulages. Tutto questo meraviglioso mondo del filo è entrato a far parte della tecnica spontanea che Carla Mura ha per realizzare le sue opere. Attualmente vive e lavora in Veneto.

 

Livio Marzot - Testi

Nato nel 1934 a Induno Olona, Italia

Perchè, in questi ultimi anni alcuni pittori nuovi tendono, con particolare predilezione, ad abbandonare i colori a olio, o addirittura le tele, per usare materiali più vicini alle moderne industrie, sviluppando così la « pittura-og-getto »? Che cosa è dunque questa « pittura-oggetto »? Già Lucio Fontana, coi suoi strappi e tagli sulle tele, aveva in Italia, fin dall'immediato dopoguerra, superato i generi di pittura e scultura: il suo era un segno-gesto, nel clima, da lui stesso creato, dello Spazialismo, ma il quadro acquistava nuovo valore di oggetto e la superficie, anche se tagliata o bucata, risultava alla fine più nitida. Certamente gli assemblages di origine dadaista, ma in maggiore sviluppo nella Pop-art, hanno fatto sentire il fasci-no di nuove materie in rilievo: la pittura è diventata sempre più oggetto, ma non soltanto nel campo della figura-zione che contamina vita e arte, cioè della Pop-art stessa; è diventata oggetto anche nello sviluppo di tendenze più spaziali o astratte. A volte è come un ritorno totemico: l'oggetto colorato sembra imporsi con effetti magici. Altre vol-te però è un bisogno di usare materiali inediti, acri, non facilmente pittoricistici: ed anche una necessità di ridur-re alla purezza più essenziale la pittura. E' così che le strutture plastiche primarie fanno tutta una cosa con la pit-tura-oggetto: o almeno, diventano due aspetti di una ricerca che ha radici comuni. Infatti le recenti composizioni di Marzot, a cui è giunto con conseguente, interiore sviluppo di linguaggio, sono in sostanza strutturali, ma tendono alle superfici. Mi colpì, al Museo di Arte Moderna di Torino, la sua « Superficie bianca », esposta la scorsa primavera, in occasione della mostra del « Museo sperimentale »: tra le altre opere di giovani, si distingueva per il nitore della concezione e la presenza espressiva. Questa dell'arte come presenza è una idea a cui sono giunto ormai da anni, e che mi convince sempre di più: l'opera d'arte vera si impone nella sua totalità come essere vivo, come presenza necessaria, e fa intuire ciò che non è detto esternamente. Presenza vuol dire dunque vita interiore, necessità di linguaggio, superamento del gusto: e in genere implica rigore di metodo, ritmo interno, tensione chiusa (come negli esempi diversi di Juan Gris, di Malevic, di Mondrian, di Klee). Marzot, in queste sue recenti composizioni, che si possono anche chiamare « strutture pittoriche primarie », rag-giunge un ritmo largo con pochissimi mezzi espressivi, elementari: dove la curva, anche negli incontri, suggerisce l'idea dell'origine, dell'infinito, in superfici cromatiche nette. Dopo varie ricerche sperimentali, questo linguaggio di Marzot è un punto di arrivo e anche l'inizio, per altre for me primarie: è sempre un linguaggio da seguire con la mas-sima attenzione critica, perchè certamente Marzot è tra i più rigorosi e seri pittori delle nuove generazioni.

Guido Ballo

 

La fiducia ritrovata

Quando ho conosciuto Marzot, all'incirca venticinque anni fa, i quadri che dipingeva non avevano un riferimento diverso da quelli che dipinge oggi: erano quadri di natura. Ben diverso tuttavia appariva il modo del suo dipingere e di come egli guardava il mondo a cui rivolgeva il suo interesse. C'era una sorta d'inconfessata timidezza nelle sue immagini. Allora qualcuno poteva anche pensare che il suo modo di esprimere il proprio rapporto con la realtà dipendesse da una precisa scelta stilistica, da una decisione maturata attraverso una circostanziata coscienza poetica dei problemi. Nella sostanza tuttavia non era così. Il suo disegno era incerto perché incerta era la sua visione, il suo modo di concepire le cose. Nella verità della sua ispirazione egli, infatti, non intendeva enunciare con sicurezza ciò che invece, dentro di lui, era insicuro. Le sue immagini avevano così, di conseguenza, un che di esitante, di articolato con intima perplessità. E anche il colore obbediva alla medesima indecisione. Il pregio di quei lontani dipinti era insomma costituito dalla loro disarmante innocenza, dalla sincerità di un artista che in nessuna maniera voleva apparire ciò che non era, dichiarandosi un artista senza astuzie e malizie formali. È così che io ricordo quel primo Marzot. Certo, la sua vicenda si è pure andata complicando, perseguendo in seguito anche altre tracce dispersive, ma quel primo periodo, a mio avviso, può senz'altro offrire una chiave sicura per interpretare la strada che poi egli ha percorso e le opere che oggi ci presenta. Ce cosa è dunque accaduto in questi anni, che sembra averlo così profondamente cambiato? Indubbiamente il suo percorso è stato un modo per rimontare incertezze e perplessità, per recuperare conoscenza e tecnica, per giungere a superare gli innumerevoli sofismi celebrati dai vari sperimentalismi. Quando oggi guardo i suoi quadri, non posso fare a meno di pensare a quello che diceva qualche anno fa Claude Levi-Stauss. È una citazione che vale davvero la pena di riportare. Diceva: "Se volessi predire ciò che potrebbe essere la pittura di domani, annuncerei una pittura aneddotica e superlativamente figurativa, che al posto di rifiutare il nostro mondo oggettivo, il quale dopotutto è il solo ad interessarci in quanto uomini; oppure d'accettarlo benché tutt'altro che soddisfacente peri i sensi o per lo spirito; sia una pittura capace, con l'applicazione della tecnica più tradizionale, di ricostruire intorno a me un universo più vivibile". Ecco: oggi Marzot dipinge paesaggi, uccelli, nature morte. Si è liberato di ogni complesso, persuaso che l'inizio della nostra salvezza è in una grande riconciliazione con il nostro destino terrestre. L'occhio non ha più pregiudizi, s'allarga intorno, cerca l'orizzonte, il cielo, le nuvole; cerca i canali, le siepi, gli alberi e le erbe; cerca il silenzio, lo stupore, l'incanto. La pittura è calma e distesa, evocatrice di suggestioni segrete, mentre il colore, contrastando ogni facile parossismo, distribuisce accenti di luce e morbide ombre all'interno di una misura che è segno di un governo sensibile dell'intera composizione. La perizia, che in questi anni è andata esercitandosi in ripetute prove, resta assorbita nel generale tessuto di ogni opera, senza bisogno di ostentare i propri meriti esibendosi in giochi di bravura. È questo la sua garanzia, che sa accordare ogni momento creativo in funzione dell'esito finale che illumina l'opera di un'uguale luce espressiva. Sono dunque questi i quadri che Marzot, già da qualche tempo, dipinge, i quadri che adesso egli espone. C'è in essi una grazia, un ascoso fervore, una limpida trasparenza, che ne fa un evento confortante: il segno di una fiducia che rinasce, come la Fenice, dalle ceneri di tanto disperato e inutile cercare.

Mario De Micheli

 

Oltre la presunzione

Oltre alla presunzione di esibire questi miei modesti risultati, spero mi si vorrà perdonare anche quella di aggiungere queste poche righe per tentare di chiarire, per coloro che ne avessero memoria, quello che è stato il senso del mio lavoro negli anni all'incirca dal '66 al '76, in rapporto a quello attuale. Per non addentrarmi in analisi aldisopra della mia capacità intellettiva e di sopportazione di chi legge, solo questo: fu necessario. Per lacerare lo schermo di convenzioni teso tra i nostri occhi e le cose, fu necessario partecipare al processo di auto-analisi e auto-digestione del linguaggio dell'arte, fino alle sue estreme, pericolose conseguenze. Il paradiso dell'apparenza non si svela se non a chi, coscientemente o no, è disceso fino al fondo dell'inferno della smaterializzazione (del linguaggio). Coloro che si erano fermati alla prima apparenza vagano in un limbo larvale di sterili scorie impermeabili alla luce. L'apparenza ritrovata risplende della luce interna della verità totale. Questa nuova realtà che, con la pittura, si è cercato quì di inseguire ha, come qualità predominante, la sospensione del tempo.

Livio Marzot

Antonella Zazzera - Testi

Nasce a Todi ( Perugia ) nel 1976, dove vive e lavora

 L’opera d’arte è l’artista

“Armonica compenetrazione di luce genera cromatismi arcani…

Segnotraccie, Verità Motrici dell’Unicità, plasmano e rivelano Forme  Primarie.

Corpi segreti contengono forze in continua rigenerazione…”

Dalla luce nasce e si materializza “Armonico”. “Formanonforma” incontaminata, pura, spontanea che contiene l’essenza, l’origine, l’istante della formazione… Piani generati in rapporto armonico con lo spazio che li contiene, così che il luogo diviene ventre materno. Vibrazioni dinamiche, trasmutazioni… “Segnotracce” sedimentano scandite dalle ritmiche - spaziotemporali dell’artista. Adiacenze curve, in cui l’essere riscopre la propria dimensione: l’Uomo è Natura – la Curva è Natura – la Realtà archetipale dell’Essere è la Curva…

Verso la ricostruzione della Forma essenziale che contiene la rivelazione della vera dimensione dell’Essere. Luci, ombre, colori, riflessioni, giustapposizioni, animano le forme sinuose. Stati e rapporti mutevoli, cromatismi, originati dalle variazioni temporali della luce.

Turbinii dinamici, vibrante materia, energia… generano movimento…vivificano “Armonico”. Linee di forza si estendono nello spazio. Il filo diviene elemento costruttivo del mistero formale. I segni prendono corpo, si animano in un intreccio armonico che da origine ad un corpo unico in se e unico in tutto, composto da quella trama sedimentata, che cela e nello stesso tempo rivela la natura di “Armonico”.

Antonella Zazzera

Ottobre 2005

 

Armonici

Il filo di rame di differenti colori e spessore è l’elemento unico che, abbinato alla luce, costituisce i lavori più recenti di Antonella Zazzera: gli “Armonici”. Queste sculture, strutture complesse che trovano sistemazione tanto a terra quanto a parete e che recentemente sono state adagiate anche sull’acqua, sono costituite da incommensurabili sedimentazioni di filo del più noto tra i conduttori di energia. Il legame di queste sculture dalle forme primarie, naturali e in stretta relazione con il corpo dell’artista tanto da assumerne le proporzioni, con una certa pittura è palese; con quella di Segantini, di Balla o di Dorazio per esempio, tanto che la loro superficie ci appare come un campo di forze che si aggregano e si respingono come le pennellate in una tela divisionista. Nel loro lento, analitico e sistematico prodursi, queste morbide trame sono distinte e disegnate da zone di respiro e da altre di massima saturazione che suggeriscono la possibilità di spazi altri interni all’opera, anfratti inesplorabili in cui l’unica presenza ipotizzabile e palpabile è quella della luce. Una luce che nutre il corpo dell’opera e che lo rende vivo, vestendolo di una apparente fragilità e di discreto clamore. Una luce che esalta e rileva linee di forza, tesse forme e plasma strutture cangianti, mutevoli e infuocate. Una luce che il filo di rame assorbe, trattiene e sprigiona generando ritmiche cromatiche, interferenze e vibrazioni che minano l’apparente quiete che domina le superfici degli “Armonici”.

Federico Sardella

 

 

Armonica compenetrazione di luce

genera cromatismi arcani…

“Segnotracce”, Verità Motrici dell’Unicità,

plasmano e rivelano forme primarie.

Corpi segreti

contengono forze in continua rigenerazione.

Passaggi vetronitici si animano all’esterno, si materializzano.

Trasmutazioni,

essenzialità inesplorate

in Atto di creazione.

 

 Antonella Zazzera 2004

 

Madre Matrice

Unità concepita nella filtrazione energetica

delle forze cosmiche.

Assimilazione delle essenze vitali;

l’ io e tutto intorno all’io.

Sudario attivo della potenza corporale,

del nostro essere.

“Sindone” sacra d’ogni elemento negli elementi,

l’io, passaggi trasmutativi.

Potenza nella volontà singolare,

attività vibrante, pulsante;

Attività eterna.

Microcosmo elevato al tutto divenire,

alla Trasformazione…. in “alta tensione”.

Il pensiero è potenza, nucleo attrattivo.

Pensieri incessanti in atto di creazione,

attraggono forze corrispondenti.

Intuizione,

l’Assoluto condensato nel punto curvo,

nell’Armonico istante,

nel contatto delle essenze.

Energia… in continuo divenire:

Esistere.

 

Antonella Zazzera 2001

Sergio Ragalzi - Testi

Nato a Torino nel 1951. Vive e lavora a San Giusto Canavese ( Torino ).

Genetica 2093

La nostra percezione del futuro

La nostra percezione del futuro - dico di noi umani nati nella seconda parte di questo secolo ed in procinto di affacciarci al terzo miliennio - comincia quando eravamo bambini e ci parlavano di conquiste spaziali, di una nuova cavaicata neil'ignoto e nel blu dei cielo. Erano ormai passati gli anni della bomba e del terrore atomico: le immagini indelebili del fungo sopra Hiroshima, dei cadaveri immobilizzati come a Pompei sembravano a poco a poco svanire nella nostra memoria di uomini nuovi, pronti alla pace e alla tolleranza, eppure rimanevano come un'icona a perpetua memoria di ciò che altri, peggiori di noi, erano stati capace di fare. Sono passati poco più di trent'anni da quando tre astronauti sbarcarono sulla luna e da quando in 2001 Odissea nello spazio del mai troppo rimpianto Stanley Kubrick un monolito nuotava nell'immensa oscurità aerea svelando al suo interno un piccolo feto, una sequenza filmica straordinaria a riassumere la voglia di ricominciare con noi, noi umani, saldamente al centro dello spazio. Lo spazio come elemento da superare, da oltrepassare, da guardare con altri occhi, magari cercando un dio proprio li.

La cultura e l'arte parlano di questa tensione: per Lucio Fontana l'opera è un " Concetto spaziaie ", l'attraversamento di un'identità certa ad affrontare l'ignoto abbattendo le paure ancestrali. Eppure, nonostante i dubbi e gli incubi notturni, tutto sembrava trasmettere un messaggio positivo, una grande fiducia nel futuro che si immaginava migliore del presente, anche nei cartoni animati per ragazzi - i Pronipoti con le loro auto trasparenti e i vestiti simili a quelli che oggi indossa Mariko Mori - o nei programmi tv di vasto intrattenimento popolare - al Festival di Sanremo Dalida cantava Nel 2023 di un domani felice che però non avrebbe mai visto. È proprio vero: noi umani non siamo proprio capaci di resistere.

Ad un certo punto è ricominciata la degenerazione, ci è tornato dentro un morbo di inquietudine sempre più insinuante che ci suggeriva giorno per giorno che non sarebbe stato così facile gestire in armonia nè il presente nè il futuro. Le lacerazioni subite non se ne andavano nonostante tutte le buone intenzioni: per una vita Alberto Burri le ha descritte con impietoso senso del realismo mescolato ad una poesia altissima con bruciature di legni e plastiche, sacchi stracciati, buchi neri che non andavano da nessuna parte. La degenerazione di noi umani, incapaci di trovare dio, si traduce nei nostri doppi, gli ultracorpi provienienti da chissà dove a minacciare l'esistenza, a prendere loro il nostro posto, uguali a noi eppure diversi (si vedano il mitico film di Don Siegel del lontano I956 ma anche le opere realizzate insieme da Enrico Bai e Piero Manzoni nel 1958, prima del definitivo addio di ques'ultimo al gruppo Nucleare). Con la tecnologia l'ultracorpo si trasforma in alieno dotato di forza distruttiva, macchina invincibile perchè partorita dall'uomo stesso a cui è sfuggita di mano la possibilità di riprodursi per il bene, come accadde al vecchio dottor Frankenstein.

Fino all'atto finale, la clonazione perfetta, la replica esatta e mostruosa, la manipolazione genetica, la predeterminazione dei caratteri, Blade Runner nel romanzo di Philip Dick e nel successivo film di Ridley Scott. E allora ci si comincia a chiede da che Sergio Ragalzi si è posto re: dov'è l'uomo? è una doman-fin dai primi anni '80, quegl'anni così leggeri- e spensierati prima dell'ultima caduta, per dirlo con Nanni Balestrini - " i magnifici anni '80 incensati da tutti gli alberoni/gli anni di merda insinuano i maldicenti gli anni/della restaurazione dell'opportunismo del cinismo/con tanti soldi cocaina fotomodelle per chi ci sta/eroina e muccioli per chi proprio non ci sta/e tv spazzatura per rincoglionirci tutti quanti/gli anni culturalmente più vuoti e squallidi del secolo/in cui nugoli di intellettuali collaborazionisti/ ben lottizzati e benissimo pagati ci rifilavano le meraviglie dell'effimero e del postmoderno".

Allora erano gli splendidi Relitti sessuali a segnare gli esordi di Sergio Ragalzi all'Attico di Fabio Sargentini, Roma 1984, e mi ricordo di quei giganteschi quadri, sagome piatte, bruciate alle quali non restava più nulla se non una semplice identità maschile o femminile, principio base della riproduzione. Ma a cosa potranno mai dar vita degli esseri così privati, così mostruosi?
Che cosa potrà mai distinguere l'uomo creato dalla natura rispetto alle sue copie artificiali? Esiste ancora un'iconografia umana nell'evoluzione postbiologica? E tutto è così sorprendentemente positivo, oppure il prezzo che dovremo pagare sarà sempre il solito, la creazionedi " freaks ", dimostri da baraccone a cui per l'orrore si nega persino uno sguardo compassionevole?Nel rispondere Ragalzi ci mette tuffa la possibile disperazione, un grido muto e nero di una coerenza assoluta, senza precedenti, che pure non esclude un lucidissimo progetto critico nei confronti delle sempre più frequenti bonalizzazioni del corpo, del postorganico, delle mutazioni, della paura, del dolore.

Una riflessione molto simile a quella che, oltre dieci anni dopo, hanno dato Dinos & Jake Chapman, i più forti interpreti contemporanei della mostruosità che può derivare dalla scienza, con tanto di escrescenza sessuali fuori posto, sangue misto a orrori della guerra e della pace. Da quei relitti sessuali agli attuali lavori che vagheggiano il futuro di Genetica 2093 Ragalzi ha operato in senso de-evoluzionistico spogliando passo per passo le sue opere di qualsiasi elemento consolatorio: da uomini a insetti, poi larve, bozzoli, virus, grovigli, embrioni, sempre ricoperti da vernici antipiombo nere e totalmente acromifiche una sorta di Manzoni al negativo - sculture e pitture di grandi dimensioni dove il gesto - un gesto di matrice informare che non può non ricordare il Vedova più virulento e dichiarativo - si insinua nel corpo fino a renderlo disperatamente vivo, nonostante.

Ma lo sapete voi che cos'è un corpo? È un residuo, un resto, non è quasi più niente ma finché ce ne sarà almeno un poco l'uomo l'artista, l'intellettuale dovrai essere in grado di difenderlo, di fermarlo, di non lasciarlo morire. in ogni mostra di Ragalzi risulta perciò evidente l'ultimo stadio della catena, l'ultimo passaggio che trova sì sintesi compiuta nell'opera finale ma lascia sempre una porta aperta, ancora una volta nonostante: questi nuovi giganteschi embrioni neri in materiale plastico, persino leggeri nel loro tenue movimento, sono i figli negati di un'evoluzione mancata, aborti del futuro. Eppure respirano, sentinelle del passato. Oggi marzo 1999 mi sembra ancor più difficile parlare di evoluzione della specie (umana?) e lanciare qualsiasi ipotesi sulla nostra percezione dei futuro.

Probabilmente le icone ci perpetua memoria di Hiroshimcí e Nagasciki, agosto 1945, resteranno ancora laggiiù, appunto nella nostra memoria; eppure nelle tv che allietano le case del mondo scorrono veloci tra uno spot di detersivi e uno dell'ultima auto di grido le immagini e le voci di un'altra guerra, a noi geograficamente piuttosto vicina. E non è tanto la guerra a spaventarci quanto la degenerazione che altri corpi simili a noi ci provocano.Emigrato, profugo, diverso, alieno: parole che invadono la nostra coscienza che non riusciamo che e non vogliamo accettare, perchè la nostra coscienza ci impedisce di accettare povertà, miseria, morte. Meglio rimuovere che schierarsi, ed attendere con pazienza: forse, grazie alla guerra, ci saranno meno corpi estranei a minacciare il nostro conquistato ed illusorio benessere.Forse la genetica del 2093 avrà altre implicazioni, altri quesiti da risolvere e saremo tutti felicemente simili come in Gattaca. Per adesso è ancora dose quotidiana di morte mediale e telematica. Per adesso Ragalzi ci lascia li un grande quadro dal titolo Origine dove l'embrione umano si va fondendo con quello di una scimmia da cui prese inizio all'inizio dei tempi. Stranieri a casa. Andareavanti o tornare indietro?

Luca Beatrice

La citazione di Nanni Balestrini è tratto da 'Piccolo appello ai nostri beneamatilettori ovvero poesia sugli anni di piombo e gli anni di merda', 1993.

 

Roberto Rizzo - Testi

Nato a Cernusco sul Naviglio ( Milano ) il 28 ottobre 1967.

TESTI

 

1986 – “QUINDICI “CERCATORI D’ARTE” AL BASSANESE”, Il Piccolo, Febbraio 1986

1990 – “DE PICTURA PICTA”, Elisabetta Longari, catalogo, Galleria Care Of, Gennaio 1990

“NOTE SPARSE SULLA SITUAZIONE DELLA GIOVANE ARTE LOMBARDA AGLI ALBORI DEGLI ANNI ’90”, Elisabetta Longari, Terzoocchio, Marzo 1990

1993 – “A FESTA FROM MILAN”, Brian Fallon,  The Irish Times, Aprile 1993

“A DASH OF ITALIAN FLAIR BRIGHTENS UP GALLERIES”, Aidan Dunne, The Sunday Tribune,  Aprile 1993

“PARIGI – DESIGN ITALIANO AL GRAN PALAIS”, Antonella Micaletti,  

Altrimmagine, Luglio 1993

“LA FABBRICA ESTETICA- UN ESEMPIO DI ARTE GIOVANE ITALIANA”, Antonella Micaletti,  Titolo, Ottobre 1993

1994 – “LA STRADA”, Martina Corgnati, catalogo, Comune di Ventimiglia, Luglio 1994

1995 – “ASTRATTAMENTE”, Antonella Micaletti, catalogo, Galleria Nuova Icona, Marzo 1995

2001 – “APRIAMO LA GABBIA DELL’ASTRAZIONE – UN PANORAMA DELLA GIOVANE PITTURA 

ASTRATTA ITALIANA”, Angela Madesani, Ipso Facto, Settembre 2001

2002 – “SEI”, Roberto Caracciolo, catalogo, Galleria Corraini, Febbraio 2002

“ASTRAZIONE ZERO”, Angela Madesani, catalogo, O’ Artoteca /Cascina Roma/Palazzo Piacentini, Marzo 2002

“ECCOCI”, Angela Madesani, catalogo, Galleria Dirarte, Maggio 2002

“ PERISCOPIO - SIAMO TUTTI FIGLI DI N.N.? ”, Angela Madesani, catalogo, Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Ottobre 2002

“ASTRAZIONE”, Angela Madesani, Juliet, Dicembre 2002

2003 – “ROBERTO RIZZO, PROCESSI NON OGGETTI ”, Giovanni Maria Accame, catalogo, 

Galleria Grossetti Arte Contemporanea, Gennaio 2003

“LE FIGURE MANCANTI ”, Giovanni Maria Accame, catalogo, Fondazione Palazzo Bricherasio, Febbraio 2003

 

PROCESSI NON OGGETTI - Gennaio 2003

di Giovanni Maria Accame 

L'idea di pittura che ci propone Roberto Rizzo è l'idea di un'osservazione trasformata e trasformatrice, un'osservazione che ha trovato nella pratica riflessiva lo strumento con il quale condurre realtà differenti a un confronto, che può originare un contrasto, una contaminazione o un futuro ricordo. 

L' esperienza della pittura americana degli anni cinquanta e le successive indicazioni della pittura radicale, compresa l'analiticità degli anni settanta in Europa, sono per questo artista un sicuro riferimento, ma sarebbe profondamente restrittivo e fuorviante pensare a questa come l'unica fonte di una formazione assai più articolata. 

Una delle maggiori differenze che distingue la cultura e il modo di intendere il proprio lavoro, tra la generazione più giovane di artisti e quelle precedenti, è rappresentata proprio dalla variegata difformità degli interessi e dei rimandi che è oggi una caratteristica comune, rispetto a una più definita linearità di attenzioni che si poteva cogliere nelle generazioni più anziane. 

L'irregolarità con cui, anche lo sguardo di Rizzo, si è mosso e si muove su cose diverse e non obbligatoriamente d'arte, non gli impedisce d'avere assunto dei metodi d'indagine e delle condotte di lavoro esigenti e, in qualche caso, anche intransigenti.

E' certo questo modo di porsi, interrogante e riflessivo, che gli permette di afferrare e connettere i diversi tracciati dell'esperienza entro un campo coerente d'indagine pittorica. Gli stimoli e le immagini, qualunque sia la loro provenienza, si trasformano nel linguaggio che Rizzo ha maturato negli anni. Un processo, quello del suo lavoro, che si è evoluto con determinazione, ma certo non senza difficoltà. Segnalatomi da Carmengloria Morales, ho frequentato lo studio già dal periodo in cui aveva da poco terminato l'Accademia di Brera.

La tendenza a scegliere le soluzioni meno prevedibili e, in particolare, a generare delle situazioni di contrasto, conducevano i suoi quadri ad affrontare ogni volta delle battaglie ostinate. Anche nelle prove di quei primi anni, la pittura si formava attorno a un' idea e se quest' idea era ritenuta necessaria, non poteva essere accantonata perchè ardua. Di quell'impostazione originaria è rimasto molto, perchè appartiene al carattere dell'artista, al suo modo d'essere. E' però assai mutata la capacità di controllare le contrapposizioni interne. Ogni scelta, nella pittura come nella vita, comporta delle esclusioni. Per quanto si pensi di costruire aggiungendo, è sempre più ciò che escludiamo che ci fa procedere nella nostra costruzione. Ora Rizzo sa escludere quanto sarebbe d'impedimento alla comprensione delle sue idee.

Sopra tutto ha dato spazio al vuoto come elemento essenziale per guidare lo sguardo e rendere possibile il pensiero. Senza il vuoto non accadrebbe nulla di ciò che accade.

E, nei lavori attuali, il senso dell'accadere fa da sfondo a ogni altra percezione. 

La forma del supporto, contrasti e relazioni tra le parti, le interruzioni della superficie, tutto contribuisce a predisporre un accadimento che concentra in sè le intenzioni dell'artista. Questa non è certo una pittura che si coagula attorno a umori improvvisi e transitori, l' idea che la precede richiede il tempo e lo spazio di cui necessita una figura che nasce prima nel pensiero e poi nello sguardo. Una concettualità della pittura che dopo Reinhardt e Ryman, è oggi presente in molti protagonisti di quest'area di esperienze, da Knoebel ad Halley, e con la quale Rizzo, che ebbe per docente Carmengloria Morales, si confrontò molto presto. 

È sicuramente l'idea del limite che ha prevalso nel lavoro degli ultimi due anni, precisandosi ma anche arricchendosi di ulteriori risvolti problematici. Partendo dai concreti confini che ha ogni opera di pittura, da quello spazio del quadro, idealmente assoluto ma in realtà fisicamente relativo, come dice lo stesso Rizzo, è pervenuto ad altri margini, delle cose e delle idee. Arrotondare gli angoli, è allora un modo per accentuare la particolarità del discorso artistico, ricordandone la storia ma anche l'oggettualità. Il confine del quadro divenire qui un luogo dove s'incrociano storia e fenomenologia. La sagomatura della superficie è testimone di tutte le forme storiche assunte dalla pittura nei secoli e, nel medesimo tempo, segno di una fisicità in atto, che si colloca nel nostro stesso spazio di vita, entro il raggio della nostra percezione.

Storia e attualità fanno parte di un rapporto con l¹arte contemporanea, che non può che essere particolare, immerso nella soggettività del vivere una propria esperienza. 

E' forse per reagire a un eccesso di emotività individuale che Rizzo agisce intenzionalmente su due distinte figure archetipe della pittura: il monocromo e la movimentazione dell'impasto cromatico. Due momenti che, nella realizzazione dei suoi lavori, svolgono dei precisi ruoli. La monocromia fredda, impersonale, solo alcune volte percorsa da lievi vibrazioni, vuole creare uno spazio di decantazione, visiva e mentale, che acuisca l'attenzione di chi guarda. In questo silenzio, che è già esso stesso un importante momento dell¹opera, prende corpo la seconda figura. Una figura a questo punto necessaria e, di conseguenza, anche fortemente simbolica.

La stesura pittorica che si addensa in queste forme circoscritte, mai debordanti, ritagliate anzi con contorni netti, racchiude tutto il sentimento del fare pittura. Ne deriva, così almeno appare ai miei occhi, una poeticità lieve, priva di forzature.

La costruzione concettuale che presiede questi lavori, non impedisce il costituirsi di un'espressività interna, tenuta volutamente su registri misurati, ma proprio per questo più resistente nel tempo e maggiormente penetrante nel nostro pensiero.

C'è un ulteriore elemento che ho già ricordato e non può essere trascurato: la presenza, non assoluta ma prevalente, di un'interruzione, una sospensione della superficie che si divide pertanto in due parti. Un intervento, questo, che non vuole avere la drammaticità della lacerazione e nemmeno la programmata ripartizione del dittico. L'interrompere la continuità del piano ha la funzione di creare un'apertura, una soglia che permette di attraversare il quadro non solo orizzontalmente, ma anche verticalmente. Il vuoto che si inserisce nello spazio della pittura, non è da intendersi solo come un'uscita dalla sua unitarietà, ma anche un'ideale escursione oltre il suo fondo. Quell'improvvisa assenza della superficie non ha, infatti, il carattere di un vuoto generico, ma di un'assenza determinata, che deriva da un preciso atto di sottrazione. Ecco perchè il vuoto è sì una pausa percettiva, un'ulteriore constatazione dei limiti oggettuali dell'opera, ma è anche presenza di un'assenza. E' confine simbolicamente denso di significati, proprio perchè contenitore d¹ogni possibile divenire.

Non è forse senza qualche sorpresa che, dopo aver osservato attentamente il lavoro di Rizzo, ci si accorge come ogni suo atto così formalmente compiuto, viene messo in discussione da un altro intervento con opposte caratteristiche. L'equilibrata armonia che appare in queste opere è in realtà frutto di una continua tensione tra forze contrapposte. E' probabilmente in questo modo di procedere che l'artista riesce a toccare il limite, secondo quanto ha dichiarato di voler fare. Così facendo, infatti, mostrando di ogni cosa il confine, afferma il concetto di come nessun elemento, materiale o immateriale che sia, possa essere totalmente autonomo, possa esistere in sè. E, dunque, dietro alla permanenza dell'immagine vi è lo scorrere della sua concezione, quella stessa che, nella concreta presenza del quadro, non vede un oggetto ma un processo. 

 

Dal libro edito in occasione della mostra Galleria Grossetti Arte Contemporanea 

Traduzione : Lisa Hockemeyer, Londra Web Site : Giovanni Zullo, Milano 

Roberto Caracciolo - Testi

Nata a Milano nel 1965. Vive e lavora a Venezia.

TESTI

 

D'Avossa, Antonio. "Roberto Caracciolo", catalogo per la mostra "Progetto
Impossibile", Roma, 1985.

Poli, Francesco. "Roberto Caracciolo", Contemporanea, Febbraio 1987.

Conti, Tiziana F. "Roberto Caracciolo", Contemporanea, Febbraio 1987.

Rose, Barbara. "Roberto Caracciolo", catalogo per la mostra, Galleria A.
Weber, Torino, Febbraio 1988.

Poli, Francesco. Catalogo per "Macam", 1988.

Corgnati, Martina. "Oasi nello Spazio", catalogo, Galleria M. Corraini, Mantova,
Ottobre 1988.

Quarantelli, Ezio. "Icone di Luce", Origini, Dicembre 1988.

Poli, Francesco. "Roberto Caracciolo", catalogo per la mostra, Galleria MR,
Roma, 1989.

Tosi, Barbara. "Roberto Caracciolo", Flashart, Aprile 1989.

Corgnati, Martina. "Roberto Caracciolo", catalogo, Galleria M. Corraini,
Mantova, 1989.

Poli, Francesco. "Ucronia", catalogo, Kunstverein of Ludwigshafen, Settembre
1989.

Corgnati, Martina. "Caracciolo, Fonticoli, Longobardi, Van Zelm", catalogo,
Studio Caruso, Torino, Febbraio 1990.

Rose, Barbara. "Roberto Caracciolo", catalogo per la mostra, André Emmerich
Gallery,
New York, 1990.

Bonomi, Giorgio. "Esprit de Geometrie et Esprit de Finesse", catalogo, Cento
(FE), Aprile 1990.

Corgnati, Martina. "Paesaggio Occidentale", catalogo, Galleria M. Corraini,
Mantova, Maggio 1990.

Corgnati, Martina. "Musica da Camera", catalogo, Pinacoteca Comunale di
Ravenna, 1990.

Sonmez, Neomi. "New York Selection - 2", Lilliyet Bi Weekly Art Magazine,
Instanbul, Turkey, June 1990, pp. 23 -26.

Serra, Patrizia. "Strutture e Superfici: Nuove Problematiche", catalogo,
Termoli, Settembre 1990.

"Christmas Gifts", The Journal of Art, Dicembre 1990, p. 62.

Corgnati, Martina. "Roberto Caracciolo", Apeiron, Gennaio 1991.

Corgnati, Martina. "Una Modesta Proposta per gli Anni Novanta", catalogo,
Umbertide, Luglio1991.

Conti, Tiziana. "Roberto Caracciolo", Next, No. 21, Estate 1991.

Cyphers, Peggy. "Roberto Caracciolo" Arts, Estate 1991.

"Abstract Art Now: The European Situation", Intervista, Journal of Art, Settembre
1991.

Beatrice, Luca. "Roberto Caracciolo", Aste e Mercati, Novembre 1991, p. 18.

"Roberto Caracciolo, Nove Quadri per un Itinerario", Segno, No. 118 - 119,
Ottobre/Novembre 1992.

Corgnati, Martina. "Roberto Caracciolo" Flashart, Dicembre 1991.

Poli, Francesco. "1989-1991", catalogo, Galleria V. Belvedere, Milano, Settembre
1991.

Corgnati, Martina. "Riscoprire la Geometria", Arte, Marzo 1992.

Rose, Barbara. "Roman Holiday: Italy", Art and Auction, Giugno 1992.

Campeti, Bebetta. "Roberto Caracciolo", catalogo, Galleria M. Corraini, Mantova,
Settembre 1992.

Perrella, Cristiana. "Roberto Caracciolo", Next, No. 23, Inverno 1992.

Bucci, Carlo Alberto. "Arancio & Pastello ecco Caracciolo", L'Unità, 16 Novembre
1992, p. 14.

Campeti, Bebetta. "Roberto Caracciolo", Flashart, Gennaio 1993.

Poirier, Maurice. "The Dark Night (maybe)", catalogo, André Emmerich Gallery,
New York, 1993.

Rosas, Carlos A.. "Paper Chase", Elle Decor, Luglio 1993, p. 64.

Blumberg, Mark. "Way Down South". Metro (San Jose, CA), Vol. 9, No. 31,
30 Settembre - 6 Ottobre 1993.

Tuchman, Laura. "Less and More Vie for Attention", San Jose Murcury News,
30 Settembre 1993.

Poli, Francesco. "Forma Italiana - Individualità", catalogo, Galleria Confini
Arte Contemporanea (Cuneo) e Galerie Vivas (Parigi), Novembre 1993.

Rubenstein, Meyer Raphael. "1991 - 1993", catalogo, Galleria V. Belvedere,
Milano,
Novembre 1993.

Rizziardi, Pierina. "Roberto Caracciolo", Tema Celeste, Inverno 1993/1994,
p. 81.

Bandini, Bruno. "Lectio Facilior/Lectio Difficilior", catalogo, Galleria
I Maestri Incisori,
Milano 1994.

Karlin, Oliver. "Abstract Reformation", catalogo, Galleria I Maestri Incisori,
Milano 1994.

Crispolti, Enrico. "Que Bien Resistes!", catalogo, Galleria Comunale d'Arte
Contemporanea, Arezzo, Luglio 1994.

Crispolti, Enrico. "Pittori Contro", AD, Agosto 1994, p. 37.

Crispolti, Enrico. "La Pittura in Italia: Il Novecento/3", Edizione Electa,
1994.

Micaletti, Antonella. "Astrattamente", catalogo, Galleria La Nuova Icona,
Venezia, Marzo 1995.

Beatrice, Luca. "Nuova Scena", Edizione Giorgio Mondadori, 1995.

Poli, Francesco. "Roberto Caracciolo", catalogo, Galerie Vivas, Parigi 1995.

Crispolti, Enrico. "Le forme dello Spirito", AD, Dicembre 1997, pag. 120

Vecere, Laura. "1995-1996", catalogo, Galleria V. Belvedere, Milano, 1998

Beatrice, Luca. "Pittura aniconica - Ultimi quarant"anni", catalogo, Galleria
d"Arte Moderna di Bologna, 1998

Poli, Francesco. "Pittura aniconica - Ultimi quarant"anni", catalogo, Galleria
d"Arte Moderna di Bologna, 1998

Buscaroli, Beatrice. "Sulla Pittura - Artisti Italiani sotto i 40 anni",
catalogo, Galleria Comunale d"arte di Conegliano, 1999

Shanahan, Sean. "Intervista con Roberto Caracciolo", catalogo, Galleria Corraini,
Feb. 2000

Mathonnet, Philippe. "Avec Roberto Caracciolo...", Le Temps (di Ginevra),
9 Ottobre 2000

Accame, Giovanni Maria. "Figure Astratte", Figure astratte Campisano Editore,
2001

Madesani, Angela. "Apriamo la gabbia dell"astrazione", Ipso Facto, N. 11
Settembre - Dicembre 2001, pag. 107

Accame, Giovanni Maria. "Le Figure Mancanti", Le Figure Mancanti, catalogo
mostra Fondazione Palazzo Bricherasio, Febbraio 2003

Sardella, Federico. "Roberto Caracciolo: Intervista", Le Figure Mancanti,
catalogo mostra Fondazione Palazzo Bricherasio, Febbraio 2003

Agostinelli, Francesca. "L"equilibrio della casualità", Il Friuli, 11 Aprile
2003 pag. 15

Accame, Giovanni Maria. "La superficie inquieta", La superficie inquieta,
catalogo mostra
Rocca dei Bentivoglio, Bazzano (Bo), Aprile 2003

Carriero, Marcello. "Le figure mancanti", Arte e Critica, aprile-giugno 2003,
numero 34 pag.76

Spadoni, Claudio. "Astratti ma vivi", Il Resto del carlino, 16 maggio 2003pag. 5

Gorman, Richard. "Roberto Caracciolo" Triangolino, catalogo per la mostra
al Riverbank Arts Centre, Newbridge Co, Kildare, Irlanda
Codognato, Mario. Testo per il catalogo, Galerie Blancpain Stepczynski, Ginevra,
febbraio 2004

Accame, Giovanni Maria. "Mutevoli Confini", Galleria Edieuropa, Roma

Tonelli, Marco. "L'arte tra opera e sistema", catalogo XIV Quadriennale di
Roma, ed. Electa, marzo 2005

 

 

 

Maria Morganti - Testi

Nata a Milano nel 1965. Vive e lavora a Venezia.

TESTI

 

· Francesco Iacono, Art Diggers, "Juliet", n.25, aprile-maggio 1986
· Roland Mattes, Einladung, cat. Galerie Altstadt, St. Gallen, Schweiz, 1998
· Diego Collovini, Quadrichromia, cat. Galleria Plurima, Udine 1998
· Elisabetta Longari, De Pictura Picta, cat. Galleria Care Of, Milano 1990
· Elisabetta Longari, Note sparse sulla situazione della giovane arte lombarda agli albori degli anni '90, "Terzo occhio", n.1 (54), marzo 1990
· Bianca Tosatti, Villa Gioiosa, cat. Galleria Care Of, Milano 1991
· Antonella Micaletti, Scrittura "a programma". Maria Morganti, "Titolo", n.5, estate 1991
· Gilberto Pellizzola, Notizie di Pittura , cat. Centro attività visive, Ferrara 1992
· Antonella Micaletti, La collocazione del quadro, cat. Convivenze, Galleria Faustini, Firenze 1992
· Joachim Burmeister, Un simpatico dilemma non soltanto fiorentino: dove mettere l'arte?, cat. Convivenze, Galleria Faustini, Firenze 1992
· Antonella Micaletti, Astrattamente, cat. Galleria Nuova Icona, Venezia 1995
· Chiara Bertola, Notizie da Venezia , "Flash Art", anno XXVIII n. 192 giugno 1996
· Giovanni Maria Accame, Una situazione di fine millennio, cat. Collezione Hotel Rechigi, Galleria Il Disegno, Mantova 1996
· Manuela Zanelli, Armonie della disarmonia: arte italiana di una generazione di mezzo, cat. Collezione Hotel Rechigi, Galleria Il Disegno, Mantova 1996
· Florence Lynch, Maria Morganti. Venezia 1994/95: Paintings and works on paper, cat. Art Nation Project, New York 1997
· Vito Apuleo, Maria Morganti a New York: il corpo, che bel quadro, "Il Messaggero", 24 maggio 1997
· Un'astrattista a New York, "Olis", anno 3, num. 16, maggio-giugno 1997
· Antonella Micaletti, Maria Morganti, "Titolo", anno 8, num. 24, autunno 1998
· Giovanni Maria Accame, La pittura riflessiva, trent'anni di esperienze e differenze, cat. Arte Italiana. Ultimi quarant'anni. Pittura aniconica, Galleria Arte Moderna Bologna, Edizioni Skira, Milano 1999
· Sabrina Zannier, Le molte vie della ricerca astratta, "Messaggero Veneto", 9 febbraio 1999
· Florence Lynch, Outside edge: A Survey, cat. Université Sorbonne, Paris 1999
· Alessandra Pioselli, Imparare l'arte, "Carnet", anno V n. 8, agosto 2000
· Chiara Bertola, Veneto, sguardi interiori, "Flash Art", anno XXXIII n. 220 febbraio-marzo 2000
· Cvh., Variationen von Rot, Maria Morganti in der Frankfurter Galerie Arte Giani, "Frankfurter Allgemeine Zeitung", 24 Februar 2000
· Angela Madesani, I nuovi dell'arte. Saranno famosi, "La Città", Milano maggio 2000
· Paola Tognon, vocazioni: femminile, plurale cat. Vocazioni. Arte e vita come necessità, Silvana editoriale, Bergamo 2000
· Francesca Pasini, "La capitale della mente è il cuore", cat. Vocazioni. Arte e vita come necessità Silvana editoriale, Bergamo 2000
· Angela Madesani, Pittura totale, cat. Nuova Icona, Venezia 2000
· Barry Schwabsky, Toward the Unity and Multiplicity of Color, cat. Nuova Icona, Venezia 2000
· Paola Tognon, Maria Morganti, "Titolo", anno XI, n.33, autunno 2001
· Lily Faust, Maria Morganti, "M, The N.Y. Art World.com", february 2001
· Gilberto Pellizzola, Quattro passi (nel colore di Maria Morganti), Zuni, Ferrara 2001
· Lilly Wei, Monochrome/ Monochrome?, Florence Lynch Gallery, New York 2001
· Angela Madesani, Pitture?, Studio G7, Bologna 2001
· Barbara Mac Adam, Monochrome/Monochrome?, recensione,"Art News", New York, Maggio 2001
· Viviana Tessitore, Maria Morganti, Insistence, recensione, "Titolo", anno XII, n.35, estate 2001
· Giovanni M. Accame, Figure astratte, Campisano editore, Roma 2001
· Claudio Cerritelli, Volontà di pittura, in G.M. Accame, Figure astratte, Campisano editore, Roma 2001
· Angela Madesani, Apriamo la gabbia dell'astrazione, "Ipso Facto", n.11, settembre-ottobre 2001
· Angela Madesani, Astrazione zero, cat. mostra Artoteca Milano marzo 2002
· Angela Madesani, Astrazione "Juliet", dicembre 2002-gennaio 2003
· Rosella Prezzo Maria Morganti. Le dimensioni del colore, mostra Grosetti, marzo 2003
· Barry Schwabsky, A Benjaminian view of colour, "Contemporary", n. 58, London, january 2004
· Lucio Pozzi, Artisti, conformatevi:si fanno più soldi, "Il Giornale dell' Arte" n. 230, marzo 2004
· Giorgio Bonomi, Oltre il Monocromo, testo catalogo mostra Fondazione Zappettini, Chiavari 2004
· Chiara Bertola, Un colore mutevole come la vita, Galleria Michela Rizzo, Venezia 2005
· Susan Harris Mediating Our inner and Outer Worlds, Galleria Michela Rizzo, Venezia 2005
· Mauro Panzera Intorno al tempo in arte: primi appunti, "Artalgia", fascicolo II, anno I, maggio 2005
· FrancescaTurchetto, Maria Morganti, Graziano Negri, Titolo, Anno XVI, n.47, Primavera-estate 2005
· Gabi Scardi, Maria Morganti dipinge ogni giorno, Galleria Rubin, Milano 2005
· Tommaso Benelli Cannaregio 4842, Galleria Rubin, Milano 2005
· Angela Vettese, Palazzetto Tito, Bevilcqua La Masa, Venezia 2006
· Marta Savaris, Colori per un diario, "Flash Art", aprile-maggio 2006

 

Nella mia prima visita nel suo studio, ho parlato con Maria Morganti sotto un dipinto a dominante rosso in cui era evidente il segno centrifugo del colore; il lavoro sembrava essere stato fatto con una grande forza fisica, o quantomeno con un coinvolgimento totale del corpo. L'immagine che ne derivava aveva anch'essa qualcosa di corporale e poteva ricordare un vaso arterioso o un utero. Questo eventuale richiamo narrativo, però, non si mischiava a un compiacimento figurativo: era evidente anzi lo sforzo di cancellare la realtà del qui e ora, proprio attraverso quel moto vorticoso che dilavava ogni immagine.
Questa tendenza a negare il racconto e a sublimare l'elemento cromatico mi è stata chiara in un'altra serie, precoce anch'essa ma successiva alla prima, in cui lo sforzo di rendere astratta la superficie generava strutture geometriche, trapezi, forme incorniciate da piccoli bordi di colore, che si stringevano come cupole quadrangolari verso il bordo più alto della tela.
Queste due modalità di fuggire l'immagine sono all'origine delle superfici astratte della produzione più recente dell'artista; ma si intravedono ancora, con uno sguardo attento, sotto gli strati e le bande di cui sono costituiti i suoi quadri.
Il lavoro recente è composto da vari gruppi di operazioni. Costante è il tipo di tecnica, con pochissime variazioni: pastelli a olio e colori a olio piuttosto opachi, con una bassa dose di solvente e quindi ancora la necessità di venire "tirati" quasi fossero cera.
Un primo nucleo - il più evidente - è costituito da quadri che, benché impropriamente, definiremo monocromi. Si tratta di superfici di dimensioni variabili su cui l'artista riporta strati di colore anche molto diverso uno sopra l'altro, dopo avere atteso l'asciugatura completa di quello sottostante. Una traccia di questo procedimento sta nel bordo in alto, dove restano testimonianze sottili di ogni passaggio. La differenza apprezzabile però sta soprattutto nel colore finale, che non è mai uguale a un altro perché ottenuto con sovrapposizioni diverse. I verdi, i viola, si rossi, a uno sguardo solo superficiale possono essere riconosciuti come identici. In questi quadri l'accento è posto sull'idea di similitudine, che è concettualmente all'opposto dell'eguaglianza. Anche per piccoli scarti possono esserci colori parenti, fratelli cugini o anche gemelli monozigoti, ma che nel tempo e col passare delle esperienze - cioè degli strati di colore che agiscono inesorabili anche se impercettibilmente - si diversificano. I quadri possono essere grandi o piccoli, quadrati o preferibilmente quadrangolari, sempre con grossi telai e una struttura tradizionale del fare pittura: l'artista non ha mai abbandonato una procedura canonica. Se consideriamo che attorno a sé, a Venezia, ha sempre saputo raccogliere artisti delle tendenze più diverse; se pensiamo al grado di informazione che le hanno dato i suoi studi a New York; se riflettiamo sulla sua conoscenza e sul suo apprezzamento di pratiche concettuali anche decisamente radicali, non si può non comprendere come l'avere abbracciato la "forma quadro" sia una scelta e un'asserzione di fiducia in un mezzo, che oltretutto implica solitudine e concentrazione. Per inciso, forse da questo voluto isolamento nasce il bisogno di confronto serrato con altri artisti, così attivo mentre i quadri riposano.
La seconda tipologia di opere, abbastanza recente, comprende strisce fortemente orizzontali. Le sovrapposizioni di colore sono le stesse che nella serie dei monocromi, ma qui il fuoco non sta nel colore quanto nel rendere esplicito un processo. La prima banda viene stesa su tutta la striscia. La seconda, a colore asciugato, su di una parte della striscia che lascia intravedere per qualche centimetro lo strato precedente. La medesima distanza è mantenuta per tante volte quante sono le passate di colore. A loro volta, queste sono determinate dallo spazio a disposizione sulla striscia: l'opera termina quando non c'è più posto per aggiungere. Per compiersi, una striscia può avere bisogno di alcuni mesi o di poche settimane. E' un processo che ha in sé, come una norma genetica, il suo specifico dispositivo di crescita.
Un'ulteriore tipologia di lavoro risiede nelle carte. Sono fogli da disegno che vengono coperti da campiture quadrangolari libere, sovrapposte le une alle altre secondo il desiderio del momento e senza il vincolo di dare luogo alla fine a un tipo di forma unitaria. L'opera intera, in effetti, è un diario in progress dell'utilizzo nello studio di certi toni e di certi ritmi: unendo le carte è nata una parete che è stata numerata dall'uno in poi, con i fogli fissati da puntine metalliche e senza cornice, con una regolarità costruttiva e un effetto finale da mosaico. A un certo punto la serie finirà e il lavoro verrà considerato concluso: non c'è l'idea di un procedere senza fine come nel lavoro di Opalka o di On Kawara.
Il rimando a questi ultimi autori, però, è necessario per comprendere come la variabile che tiene insieme queste carte e, in fondo, tutte e tre le tipologie di opera descritta, è soprattutto il tempo. Le opere di Maria Morganti si presentano come ritratti dello scorrere delle cose sotto forma di colore; questo colore è, infatti, il frutto di una successione regolata né dagli stati d'animo né da una regola ferrea: non c'è intimismo emotivo ma neppure insistenza sulla logica. Il sovrapporsi dei momenti e dei colori è dettato dal normale correre delle cose. Il lavoro potrebbe ricordare utopismi o eredità dalle avanguardie storiche più ricche di ideologia e di fermezza, ma in effetti va in direzione contraria. Come spiegano i bordi sfrangiati di colore, i segni del pennello che non è stato possibile eliminare, la disposizione randomizzata delle carte, qui si racconta un "fare come si può" che tiene conto di imprevisti e di adattamenti.
Per quanto grandi possano esser certi maestri e imponente la loro influenza, Maria Morganti è lontana dal "dipingere piatto" di Ellsworth Kelley o dal "cercare il bianco" di Robert Ryman; in generale il suo lavoro abbraccia un metodo che è anche guida all'azione e grandissima disciplina, ma ripudia ogni dogmatismo per tenersi flessibile al caso e aperto al mondo. Una tecnica antica declinata verso l'etica laica di oggi: nessuna confusione tra fondamentalismo e fedeltà alle proprie convinzioni, nessuna norma che possa mai dirsi definitiva, nessun colore o pensiero o momento che sia mai uguale ad altro.

Angela Vettese

 

Federico Rizzi - Testi

Nasce nel 1962 a Udine dove vive e lavora.

TESTI

 

Federico Rizzi e la memoria del concreto

Giovanni Maria Accame

Harold Rosenberg, alla richiesta di definire che cos'era per lui l'arte oggi, rispose: "L'unica definizione che mi è venuta in mente negli ultimi anni è che si occupa di qualunque cosa sta al di fuori delle altre categorie. E' diventata un campo fuori da ogni campo." Frase che non va interpretata nel senso di un'arte distaccata dalla realtà, propensa all'evasione e all'oblio, ma attenta ad aspetti che non trovano collocazione entro gli statuti delle altre categorie. Aspetti quindi che scivolano fuori dai campi prestabiliti andando a formare quell'universo dell'indefinito dal quale sicuramente l'arte trae maggiore energia. Questo non significa estraneità ai problemi della vita, ma diversa partecipazione, perché differente è l'angolo d'osservazione e perché nello stesso tempo e, potremmo dire, nello stesso spazio, si possono vedere cose apparentemente non collegate tra loro.

La frammentazione della conoscenza e, al tempo stesso, la globalizzazione delle informazioni che sono proprie della nostra epoca, investono l'artista come chiunque altro. L'artista si trova però in prima linea, perché il suo lavoro è immerso nella conoscenza e nell'informazione. Immerso ma, come dicevo, situato in quello spazio parallelo di una categoria sensibile, che elabora nei suoi linguaggi l'accadere generale degli avvenimenti.

Da questo stato di cose non possono naturalmente sfuggire anche Federico Rizzi e il suo lavoro. Credo sarebbe fuorviante voler trovare un'ideale parentela con questa o quella tendenza, cucirgli addosso discendenze da una linea della pittura degli scorsi decenni. Tra i meriti di questo artista trovo anzi l'evocazione di alcuni aspetti oggi meno frequentati, dalle avanguardie storiche agli anni cinquanta. Dico evocazione e non elaborazione, sviluppo di concetti, ecc., non avrebbe senso riprendere linearmente oggi quanto veniva fatto negli anni venti. Diverso è fissare dei flash sul passato e costruirvi un proprio e attuale sentire, con motivazioni personali e culturali che sono dei nostri giorni. Il venir meno dei fondamenti del sapere, di molte delle regole che ancora ieri sembravano connaturate alla vita sociale, alle idee, ideologie o progetti di futuro, incidono anche sulla vita e sul lavoro dell'artista.

Rizzi riprende un'organizzazione della superficie che solo apparentemente appartiene all'astrattismo storico, infatti, non ne rispetta le regole geometriche, quell'ordine e quei rapporti che sono appartenuti ai maestri degli anni venti e trenta. Stesure rettangolari che si susseguono, si sovrappongono, si incrociano, qui rispondono a differenti motivazioni. Non troviamo processi di astrazione, a Rizzi non interessa trasporre la varietà del mondo sul piano, applicando un metodo razionale che riduce tutto a elementi costanti e limitati.

Questi lavori non sono astratti, così poco vogliono condividere con l'illusorietà o i procedimenti astrattivi della pittura, che sono realizzati pressoché in assenza dei suoi materiali. E, proprio nei materiali, Rizzi individua il dato fondamentale e distintivo della sua esperienza. Una scelta che, personalmente, guardo con favore, per la controtendenza nei confronti di una pittura aniconica troppo spesso alla rincorsa di purezze storicamente esaurite.

Le tele, montate su supporti tamburati per rendere più rigida e resistente la superficie, denunciano anche uno spessore pronunciato, sia per potervi agire in proseguimento dal piano, sia per accentuare l'oggettualità del lavoro. Oggettualità che non significa per nulla diminuzione degli aspetti sensibili, come è stato ed è per molti artisti, si pensi per esempio alle due differenti declinazioni di un Castellani o di un Aricò. Lo spessore del supporto, quando sia usato entro la logica dell'opera, mette in risalto e rafforza le attività di superficie.

Rizzi distende sulla tela una serie di materiali che, come ho accennato, solo marginalmente sono tecnicamente pittorici. Gomma lacca, resina, sottili reti di acciaio e di ottone, silicone, tutto si deposita e si trasforma senza però perdere la propria identità. I materiali e la loro lavorazione si traducono in un manufatto che non è più una somma di sostanze, ma un atto intenzionale. Materie e concetti acquistano un'autonoma verità nel loro integrarsi.

Una così densa presenza di materiali e il ruolo determinante che svolgono all'interno del lavoro, si può riscontrare nel Dadaismo, nel New Dada e nel Nouveau Réalisme, fino al più prossimo Burri. Un panorama di riferimenti storici che, com'è evidente, non troviamo figurativamente su queste tele, ma presenti come memoria di un fare: il prelievo dall'eterogeneo che diviene repertorio per una costruzione linguistica.

La memoria è del resto il fattore che qui agisce dissimulato tra lo stratificarsi di una lacca e l'ossidazione di una trama d'ottone. I gesti interni e interiori che trovano nella pittura un'ideale sede di attuazione, sono rintracciabili anche in questo mondo di materie sintetiche e oggettuali. La memoria personale che lega l'artista ai materiali, il confronto con la pratica pittorica e la sua storia come riferimento culturale, filtrano il divenire di questi lavori che stabiliscono, coscientemente, un rapporto enigmatico con la pittura. In realtà Rizzi gioca sulla nostra percezione condizionata dall'oggetto quadro per attrarci su una diversa esperienza, che non impone le regole dell'arte pittorica, ma espone la nostra sensibilità all'ascolto dei materiali. Un'attenzione che non è solo visiva, ma di rimandi tattili e ricordi di sensazioni, sollecitazioni diverse e non sempre riconoscibili, che sarebbe sbagliato associare integralmente a quelle suscitate da una tela dipinta. La somiglianza con questa, che si riscontra nelle tele di Rizzi, non va confusa con l'effettiva costituzione che ne afferma la differenza. I colori a olio o acrilici si annullano immediatamente assorbiti dall'immagine che delineano, queste reti metalliche e le gomme lacche, conservano invece una consistente parte della loro origine, della loro irriducibile resistenza a divenire pittura.

Nel sovrapporsi di piani e memorie, di sottili emozioni e distaccate citazioni, la presenza dei materiali che Rizzi ci propone, dimostra di contenere qualche cosa di più dell'ordine entro cui si inseriscono. Al di là del linguaggio, nella vita come nell'arte, qui agisce e si avverte la memoria del concreto.

27 aprile 2008

Hans Hermann - Testi

Nato a Hohenfels / Eifel, Colonia ( Germania ) l'11 maggio 1952. 

Vive e lavora tra Imperia e Colonia.

TESTI

 

Köln 1977

SCENE n° 2 vom 15.7.1977 Text von Jürgen Masuhr 

Köln 22.09.77

Kölner Stadtanzeiger " 

" Happening wurde von Polizei gestoppt " 

Essen 1977

Katalog "Vom Land und Leuten" Landesausstellung des BBK, Landesverband NRW 

Köln 2 Mai 1977

Kölner Stadtanzeiger " Ein Mensch wurde in den Käfig gesteckt " 

Köln 1979

Regenbogen Konzerte Beginner Studio, Walter Zimmermann

München 1979

Künstlerbücher (erster Teil) - Organisation Hubert Kretschmer Katalog zur Ausstellung 5.10. bis 30.11.79

Paris 1985

" Livres d'Artistes " Collection Sèmaphore Centre Georges Pompidou

Diano Marina 1985

Text von Rodolfo Falchi - " Intrecci di Luce "

La Stampa, 19.12.1985

Text von Stefano Delfino

Il Secolo XIX, 28.12.1985

Text von Francesca Graziano

Milano 1986

Erster Foto-Kalender für die SIP

La Stampa, 6.3.1986

Text von Angelo Dragone

Köln 1986

Katalog int. Photoszene Köln 1986

Katalog Sotheby's, London, Oct.1986 Modern and Contemporary Paintings

Bruxelles 1987

Bulletin Galerie Contretype Text von Pierre Restany u. E. Palumbo-Mosca

Bruxelles 1987

La Drapeau Rouge - Text von Jo Dustin

Torino 1987

Katalog Torino Foto Grafia 87

Eindhoven

Int. lighting review, 39th Year, 3 rd.Quarter 1988

Katalog, München 1989

Galerie Ketterer, 144. Auktion

Darmstadt 1990

" Erfahrungserweiterungen " Text von Arsèn Pohribny

Wiesbaden 1990

" Der Humor ist der Regenschirm der Weisen " Katalog Harlekin Art

Frankfurter Allgemeine Zeitung, 21.3.1990

" Sammler nicht sehr spendabel ", Janet Schayon

Frankfurter Neue Presse, 22.3.1990

" Die Freiheit auf Blech brachte 2.800 DM "

Giessener Anzeiger, 22.3.1990

ebenso in BZ, Berlin und Giessener Allgemeine " Kunst-Auktion 'Art Frankfurt' für Aids-Stiftungen "

Frankfurter Allgemeine Zeitung, 24.3.1990

" Was fehlt, ist ein Publikum ", Wilfried Wiegand

Köln 1991

Katalog Int. Photoszene Köln 1991

Wiesbaden 1991

" Der Augenblick der stehen bleibt " Katalog Harlekin Art

Imperia 1992

Aktion " Vota Arte " - Text Franscesca Graziano

Imperia/Bruxelles 1992

Aktion " Vota Arte " - Text Elena Palumbo-Mosca

La Stampa, 19.3.1992

" Artista tedesco posa davanti ai manifesti "

Wiesbaden 1992 

" Yin & Yang " Katalog Harlekin Art

Katalog "Hans-Hermann T.,

Rittratti di Anonimi - Anonyme Portraits in collaborazione Goethe Institut Genua Galleria C. Gualco - Unimedia Genova 1993

La Stampa, 2.12.1993

" Ecco i ritratti di anonimi nell'arte di Hans-Hermann ", Stefano Delfino

La Stampa, 2.12.1993

" Successo di Hermann a Genova " e.f.

Il Secolo XIX, 28.12.1993

" Ritratti anonimi ", Francesca Graziano

La Stampa, 28.11.1993

" Ritratti di anonimi ", Stefano Delfino

Flash Art, n° 182, Marzo 1994

" Hans-Hermann T., Freiheitsschutzzone" " ritratti di anonimi ", Viana Conti

" Punti di Vista" Proposta n° 5

Katalog Circolo Culturale, il Gabbbiano, La Spezia Marzo/Aprile 1994

La Stampa, 9.3.1994

" Il tedesco Hermann e l'americano Hansen, artisti con licenza di stupire " " Provocazioni nel centro di Milano firmate da due imperiesi d'adozione ", Stefano Delfino

" Molto Diligenti Osservazioni 1 "

Katalog a cura P. Diecidue, M. Rosa Pividori e Emma Zanella Manara, Marzo 1994 Edizione Galleria d¹Arte Moderna di Gallarate

Al Hansen e Hans-Hermann T.

" New and old Fluxus-Dreams - Vota Arte " Katalog Lattuada Studio Milano Ausstellung März/April 1994

Flash Art n° 183, April 1994

" Al Hansen e Hans-Hermann T. presso lo Studio Lattuada "

Gazzetta del Lunedi, 9.5.1994

Cronaca dell'Arte di Nalda Mura

" Baj & Company "

Lerici Castello Monumentale Katalog a cura di Luciano Caprile Galleria Menhir, La Spezia, Giugno 1994

Archivio, Anno VI, n° 6,

Giu.-Lug.-Ago., 1994 Enrico Baj, Luciano Caprile

" Non Capovolgere ",

Trimestrale N° 6, Maggio 1994 " Vota Arte ", Giuliana Guastalla

La Stampa, 13.07.1994, Stefano Delfino

" Due artisti imperiesi alla mostra di Enrico Baj ",

La Gazzetta di Mantova, 23.6.1994,

R. Bellintani " Contemplazione e giocosità in " Vote Arte' ",

Il Piccolo, Allessandria, 2.9.1994

" Un " Art work shop ", M.L.C.

Il Piccolo, Alessandria, 9.9.1994

" Viaggio dentro la fabbrica dell'arte "

Flash Art n° 189, dic. 1994/gen.1995

" Viaggio dentro ", Viana Conti

" Titolo ", Revista scientifico-culturale d'arte

Anno V-N 16-17 Autunno-Inverno 1994 " Vota Arte " Primo Manifesto

Baj & Company, 

de Luciano Caprile et Frèdèrique Altmann Katalog Galerie Sapone, Nice, Jan. 1995

La Stampa, 5.3.1995, Stefano Delfino

" Baj & Company " "Hermann in mostra a Nizza ",

Il Secolo XIX, 17.3.1995,

Francesca Graziano " Anche l'imperiese Hermann alla mostra Baj & Company ", 

" ZETA ", Revista int. di poesia e ricerche,

No.33/34, Maggio/Giugno 1995 Anno XVI n.2 1995, Pag. 20, " Eppure ci eravamo preparati "

Katalog a cura di Carlo Micheli

" Con sentire "

La Gazzetta di Mantova, 4.5.1995

" In Giro "

La Voce di Mantova, 13.5.1995

" Con sentire provocando "

La Voce di Mantova, 6.5.1995

" Con sentire insieme "

La Gazzetta di Mandova, 25.5.1995, G.Natali

" Performance d'autore sabato in Santa Paola "

Radio Base Mantova

" Arte e Cultura " a cura di Paola Cortese La Voce di Mantova, 27.5.1995 " Tra idea e performance "

Katalog di G. Bonomi, 

V. Coen, E. De Albentiis Provincia di Perugia, giugno-luglio 1995 " Presenze - artisti stranieri oggi in Italia "

Forvm Artis Mvsevm Montese

presentazione Pierre Restany curatore Fabio Tedeschi Katalog Forvm Artis Editions, Luglio 1995 

Katalog a cura di Carmelo Strano

" La Nuova Europa " in occasione del Centenario della Biennale di Venezia XLVI edizione, giugno - settembre 1995

Contemporanea " documenta " delle Arti,

Bari, giugno 1995

Katalog, Text von Jürgen Kisters

Artoll - Labor 1995, Rheinische Landesklinik Bedburg-Hau

Katalog " Il Rassegna d'Arte della Liguria 1996 "

Sociètà Promotrice di Belle Arti della Liguria

Il Secolo, 4.5.1996

" Gli artisti liguri nell'ex convento ", F. Graziano

La Stampa, 9.4.1996

" Rassegna con 150 opere d'arte ", S. Delfino

Il Corriere di Roma, 30.6.1996, F. Graziano

" Artisti liguri a confronto nella Capitale dei 'del Carretto' ",

" That's me " Katalog Stedelijke Akademie

voor Beeldende Vorming Harelbeke 1996

Images Art & Life n° 35-36, 1996

" Vota Arte ", Primo Manifesto

Deutschlandfunk, 20.4.1996

" Treffpunkt Unterhaltung ", " Skurill ist in ", U. Deutschendorf

Redetext "Lemuren - figurative Abstraktion"

Erich Witschke, Trinitatiskirche Köln, 1996

Kölner Stadt-Anzeiger, 12.1.1996

" Videos flackern hinter dem Altar ", C. Freytag

 

Jessica Lack writing in The Guardian:

"As a member of Fluxus in the 1970's, Hans-Hermann was part of a band of anti-artists that included Joseph Beuys and Yoko Ono. A group that embraced all creative endeavor from street poetry to jesters, they set about re-framing the boundaries of modern art by dispensing with them. Hans-Hermann today still refuses to be categorised in artistic terms. He makes art from the detritus he finds, scratching the surfaces of boxes untill they are riddled with incisions and peeling the cardboard off beer mats untill he is left with malleable textures he then creates elaborate discs from. This is the German's first solo show in London, and he's set about creating works that in time, (it is hoped) bring about the annihilation of the artist ego-if only that were possible." 

 

" Freedom " Febbraio 2004

Hans-Hermann: I poemi pittorici 

di Angela Madesani. 


Se essere chiamato " pittore " è, al tempo nostro, da quanti si occupano di arte, un termine scarsamente bene accetto, è nel caso di Hans-Hermann, che qui si presenta con una serie di opere pittoriche, anche poco corretto.
Arte e vita sono per lui, tedesco che vive in Italia ormai da molti anni, una scelta univoca, che viaggia sullo stesso binario giorno per giorno, un vero e proprio particolare e diverso modo di vivere .

Il chiaro riferimento è sicuramente a Joseph Beuys, con cui Hans-Hermann ha avuto legami diretti. Fare arte per lui è un bisogno, strettamente personale, di riflettere sull'essenza delle cose, di materializzare alcuni concetti in un mondo, in cui tutti giocano più o meno casualmente attraverso scelte che il più delle volte non sono neppure tali. La vita nei suoi lavori diviene forma, nello spazio e nel tempo, che non deve essere velata o meglio ottenebrata da un approccio meramente estetico, che rischierebbe di sviare la conoscenza delle cose. In questi lavori di Hans-Hermann, diciamo cosi, pittorici, la cosa più importante è l'atteggiamento per riuscire a cogliere l'esistente, con un occhio di favore, così Mondrian, per l'elemento distruttivo e non solo costruttivo dell'esistente.

Importante è il suo tentativo di conoscenza del nulla, la voglia di creare in relazione alla conoscenza del nulla come unica costante dell'esistente.
La sua, nelle Transdestrutturazioni qui esposte, è una concentrazione su un punto, l'ora, l'hic et nunc, dove graffia, toglie la materia, il supporto stesso.
Si tratta di un lavoro pittorico al contrario, per via di levare, in cui si scava per piantare, per mettere qualcosa: metafora di una sorta di semina esistenziale.
In altri lavori è la Sedimentazione. In entrambe le operazioni il tempo è fondamentale dove, attraverso il graffio, il tempo diventa addirittura senza tempo: nulla, come in una meditazione zen. Si tratta di un tentativo di eliminazione dell'ego, di annullamento anche del proprio ruolo di artista, oggi sin troppo " mitizzato ". Il suo è un lavorio continuo, una sorta di ricamo in cui il bordo rivela la sovrapposizione, l'accumulazione dei gesti di derivazione senz'altro informale. Il tentativo è una sorta di resa materiale di un'operazione di matrice spirituale.

Nel suo lavoro è presente fortemente l'elemento grafico, in cui è, mi pare obbligato, un richiamo, con le debite differenze, a Roman Opalka, per certi versi più assoluto. È una ripetizione di una sorta di scrittura, di codice personale, di un gesto che si ripete all'infinito per dare vita a poemi pittorici di scavo e sovrapposizione. Ancora una volta si torna al " Vota Arte ", che fa parte della sua storia. È, nei suoi lavori degli ultimi anni, qui in mostra un profondo senso di disillusione: prima di tutto nei confronti dei fatti del mondo e poi anche in quelli del ruolo dell'arte, che di rado riesce a mutare le cose, ma che forse ogni giorno ci regala la sensazione di riuscire a proseguire il difficile cammino quotidiano.



Traduzione dall'italiano in inglese di Elena Palumbo-Mosca e Valerie Wadsworth. English translation by Elena Palumbo-Mosca and Valerie Wadsworth.

Traduzione dal tedesco in italiano e in inglese di Elena Palumbo-Mosca e Valerie Wadsworth. Milano

La Stampa 13 gennaio 2004 (pg. Imperia Spettacoli) 

IN MOSTRA DAL 4 FEBBRAIO CON IL TITOLO «FREEDOM» GLI ULTIMI LAVORI DEL SEGUACE DI JOSEPH BEUYS

A Milano i «poemi pittorici» di Hans Nermann

Saranno esposte alla Galleria Grossetti le opere create a Imperia dall'artista tedesco 

IMPERIA

Aveva iniziato il suo incessante lavoro di,ricerca in Germania negli anni Settanta con il celebre movimento di Joseph Beuys e l'area Fluxus, poi si è trasferito a Imperia dove abita e lavora da una ventina di anni e dove ha lanciato l'iniziativa di «Vota Arte»: adesso, Hans Hermann, estroso e versatile artista di origine tedesca, più volte presente in varie esposizioni internazionali, in Italia e all'estero, è atteso da una grande mostra a Milano.

Esporrà le sue opere più recenti, due cicli di medie e grandi dimensioni, «dove il gesto di decostruire, ripetuto maniacal- mente, produce nuova organizzazione della forma: un inquieto registrare della propria esistenza», alla Grossetti Arte Contemporanea in via Sarpi a Milano: il «vernissage» si terrà il 4 febbraio alle 18,30, quindi la mostra, significativamente intitolata «Freedom», ossia «Libertà», proseguirà fino al 5 marzo, ogni settimana dal martedì al venerdì e in orario 10,30-19,30.

Una nuova importante esperienza, insomma, per Hans Hermann, che successivamente dovrebbe esporre anche a Londra le ultime creazioni, nate nella quiete della sua villa presso i Gorleri, sulle alture di Oneglia. Qualche anno fa, già autore affermato, aveva lanciato la provocatoria iniziativa di «Vota Arte»: una frase che ha fatto il giro del mondo dell'arte attraverso spille e autoadesivi, un modo di partecipare e di vivere l'arte totale attraverso una visione indipendente, rispetto alle logiche del quotidiano. 

E appunto in tal senso non è casuale la scelta di «Freedom» come nome della mostra milanese. Spiega la critica Angela Malesani nell'introduzione ai «poemi pittorici» di Hans Hennann: « Se essere chiamato " pittore " è al tempo nostro, da quanti si occupano di arte, un termine scarsamente bene accetto, nel caso di Hans Hermann, che pure qui si presenta con opere pittoriche, è anche poco corretto. Arte e vita sono per lui una scelta univoca, che viaggia sullo stesso binario giorno per giorno: un vero e proprio modo di vivere, particolare e diverso».

La sua, nelle «Transdestrutturazioni» presentate alla Galleria Grossetti, «èuna concentrazione su un punto, l'ora, l' "hic et nunc ", dove graffia, toglie la materia, il supporto stesso: un lavoro pittorico al contrario, per via di levare, in cui si scava per piantare, per mettere qualcosa». E nei lavori di Hans Hermann «è presente fortemente l'elemento grafico, in cui c'è anche un richiamo a Roman Opalka, per certi versi più assoluto», conclude Angela Malesani. 

Sean Shanahan - Testi

Nato a Dublino nel 1960.

TESTI

 

1987

Schemata, Greg Hilty catalogue Riverside Studios, London, Aprii 1987.

Schemata, Stuart Morgan, catalogue Riverside Studios, London, Aprii 1987.

1987

Schemata, Stuart Morgan, Artforum, May 1987.

Schemata, Lynne Cooke, Artscribe, May 1987.

Tussenblik, Mathilde Roskam, catalogue Het Kruithuis, S'Hertogenbosch, June 1987.

1989

Seàn Shanahan, Rob Smolders, NCR Handlesblad, Sept. 1989.

1990

de cirkel en het vierkant, Eddy van der Meer, Alert, Dee. 1990.

Seàn Shanahan at thè Kerlin, Brian Fallon, Irish Times, Sept. 1990.

1992

Paintings by Seàn Shanahan, Caoimhin Mac Giolla Leith, catalogue,

Studio Carlo Grossetti, Nov. 1992.

1993

Seàn Shanahan at thè Kerlin, Brian Fallon, Irish Times, Aprii 1993.

Feste Italiana, Aidan Dunne, Sunday Tribune, Aprii 1993.

Seàn Shanahan, Diego Collovini, Titolo, Dee. 1993.

1994

Seàn Shanahan, Sabrìna Zannier, Flash Ari, Jan. 1994.

1995

Werk van Shanahan ontstijgt rigiditiet, Robbert Roos, Trouw, Feb. 1995.

A suite in three movements for Seàn Shanahan,

Mei Gooding, catalogue, Orchard/Kerlin, Aprii 1995.

Seàn Shanahan at thè Kerlin, Luke Clancy, Irish Times, Aprii 1995.

Seàn Shanahan, Marian Lovett, Circa, Summer edition.

Optical Consciousness, Willen Sanders, catalogue,

Stelling / Copyright Tutti, May 1995.

Optical Consciousness, Rutger Pontzen, Metropolis M, n°4.

1996

16Artistes Iralandais, catalogue, Declan Me Gonagle, L'immaginaìre

Irlandais, Ecole Nationale Superieure des BeauxArts, Aprii 1996.

From Nature, (Poetry) to (Multi-) Culture,

Caoimhin MacGiolla Leith catalogue, Immaginaire Irlandais.

Une Saison Irlandaise, Paul Ardenne, Art Press, June 1996.

1997

Residue, catalogue, John Hutchinson, Aug. 1997.

Residue, Brian Fallon, Irish Times, Aug. 1997.

Confessions of a Gallery Curator, Aiden Dunne, Sunday Tribune,

Aug.1997.

Modern Art in Ireland, Dorothy Walker, Lilliput press, p. 219

1998

Monochroom met bloedend vlak, Erik Hagort, de Volkskrant, 08 Aprii '98

Thè breath of space and thè pace oftime, Anne-Marie Bonnet,

Baukunst, catalogue, Aprii '98.

Anne Erfle talks to Seàn Shanahan about his recent work.

Baukunst, catalogue, Aprili 998.

l/l/enn Kùnstler die Bildflàche òffnen, Heidrum Wirth, Kóln Rundscau,

24 Aprii '98.

Einfache Geometrie: Baukunst zeigt Shanahan, E.Roos,

Kólner Stadt Anzeiger, 15 May '98.

Summer Group Show, Sunday Times, 02 Aug. 1998. Marian Lovett.

L'abstraction & ses territoires, Philippe Cyroulnik, Sept. 1998, p.102/3.

Anne Erfle parla con Seàn Shanahan del suo lavoro, Grossetti Arte

Contemporanea, October 1998.

Angela Glajcar - Testi

Nata a Mainz, in Germania. Vive e lavora a Nieder-Olm.

Metamorfosi dello spazio

“Mi interessano gli spazi che agiscano su di me e reagiscano direttamente alla carta; spazi che posso modificare”.

Così Angela Glajcar definisce, sinteticamente, un aspetto fondamentale della sua ricerca artistica.

Angela Glajcar è, allo stesso tempo, artista e pioniere. Ogni spazio espositivo - anche la grande sala del Kunstverein Ludwigshafen (Associazione per le Arti di Ludwigshafen) - viene sottoposto a un esame e a un’analisi approfonditi, prima che l’artista, con l'ausilio di modellini, cominci a sondare le differenti possibilità d'intervento, determinate dallo spazio stesso. Il lavoro effettivo, la realizzazione del bozzetto, non avviene nell'atelier dell'artista ma direttamente in loco. I mezzi artistici sono ridotti al minimo: le bastano carta e luce per realizzare una delle sue più imponenti installazioni con la carta fino a oggi, alla Kunstverein Ludwigshafen. In generale, un principio essenziale sotteso al lavoro artistico di Angela Glajcar è ottenere un risultato efficace con grande precisione e un'estrema economia di mezzi. In questo senso l’artista si appropria delle diverse qualità dei suoi elementi. Combina il potenziale tangibile della carta con la proprietà immateriale

della luce, costruendo impressionanti installazioni tridimensionali a partire da fogli di carta a due dimensioni.

Lo spazio espositivo del Kunstverein Ludwigshafen - una superficie di 500 metri quadrati, per un'altezza di oltre 5 metri - ha subito una totale trasformazione. Nella galleria completamente oscurata si erge nel centro dello spazio un corpo spaziale lungo più di 17 metri, inondato da una luce artistica. La dimensione è di per sé impressionante; a un primo sguardo la sua forma non riporta alla mente nulla di conosciuto. “Arsis” - dal greco antico, ‘sollevarsi, ascendere’ - è il titolo dell’opera, che segna anche l'inizio di una nuova fase artistica. Strisce di carta fluttuano e oscillano, in successione, per scivolare morbidamente sul pavimento da un'altezza di oltre 5 metri. In alternanza ritmica, sempre leggermente scostati tra di loro, i fogli sono allineati in un movimento scorrevole, definendo in questo modo il profilo di un triangolo. Come un manto protettivo, le strisce di carta racchiudono uno spazio vuoto. Questo incavo sovrasta di molto l'osservatore, chiudendosi a punta da un lato e aprendosi dall’altro. Ogni foglio è lungo da 8 a 15 metri, largo circa 16 centimetri, ed è fissato al soffitto tramite sottili fili di ferro. Con ampi gesti calcolati, le strisce di carta si estendono fino al pavimento, assottigliandosi e così dando l'impressione di terminare lì; fino a quattro fogli. E si sollevano nuovamente dal pavimento, risalendo al soffitto con un'ampia onda.

Questa installazione rammenta un monumentale corpo cavo, simile all’ossatura di una nave; è percorribile in tutti i sensi, anche nel suo interno. Nonostante la considerevole mole, l'installazione è caratterizzata da una straordinaria leggerezza e fragilità, ulteriormente enfatizzate da un preciso orientamento della luce. Luci e ombre restano sospese sulle strisce trasparenti di carta, trasformando la voluminosa scultura in un'opera multidimensionale. Osservarla da un'unica prospettiva non consente di afferrarla tutta e di comprenderne la bellezza ed eleganza ammaliante. Soltanto all’osservatore che gira attorno si dischiuderanno incessanti metamorfosi dello spazio, grazie alle angolazioni sempre diverse. La scultura sembra aprirsi e richiudersi, a seconda della posizione

dell'osservatore, guidandone lo sguardo lungo la sua superficie e nel suo interno. Alcune strisce mostrano delle fenditure, intenzionalmente prodotte dall'artista, che attraverso il gioco delle luci incidenti proiettano l'ombra dei loro bordi sulle strisce immediatamente successive. Prospettive senza fine, percezioni luminose e spaziali, proprie di questo spazio simile a una caverna, producono l'annichilamento dei confini fra realtà e immaginazione. L’installazione considera anche lo spazio circostante. La luce crea dei propri percorsi nelle numerose fenditure e aperture fra una striscia e l'altra, finendo per trasformare le pareti e il pavimento in grandi schermi su cui si proiettano gli straordinari giochi d'ombre.

 Una particolare percezione dello spazio è garantita al visitatore che si inoltri nell’interno

dell'installazione. Da questa prospettiva le lunghe strisce di carta, disposte una dietro l'altra, serpeggiano fino al soffitto come un'enorme onda. La dimensione monumentale dell'installazione è percepibile con maggior forza dal suo interno. Il cammino ci conduce in spazi sempre più angusti, fino a giungere all’estremità chiusa. Circondato da una "foresta di carta”, lo spettatore si ritrova nel cuore dell'installazione, dove si manifesta un'ulteriore caratteristica della carta - questa sostanza fatta di materie naturali - una caratteristica che va oltre la sua natura tattile: è il calore che offre, dando al visitatore una piacevole sensazione di sicurezza e protezione.

Questa installazione, che domina lo spazio espositivo sorgendo nel suo mezzo, è completata significativamente da altre tre sculture, appartenenti a una precedente fase dell'artista. Tre blocchi di carta, di differenti altezze, collocati nella galleria per costituire un contrasto, carico di significati, con la vicina struttura spaziale fluttuante, “Arsis”: in tal modo la gravità statica controbilancia l'elegante levità. Anche in questo caso, Angela Glajcar si limita all'uso di un unico materiale: del normale cartone marrone. 1200 fogli sono stati sovrapposti, in modo da formare un blocco squadrato, che a un primo sguardo potrebbe sembrare minimalista. Ma a una certa distanza, il cubo appare come una forma ben definita, mentre a uno sguardo più attento rivela la propria essenza. In alcuni punti sembra concavo. I fogli sono stati strappati in punti diversi e deposti uno sull’altro, foglio per foglio, così da formare delle cavità mai eguali, più piccole o più grandi. I segni di questo

procedimento sono evidenziati in modo peculiare dall'irregolarità dei bordi del cartone. Ridanno struttura e consistenza alla carta in sé, creando riccioli in certi punti, dilaniando l'interno del cubo e alcune volte rompendo la stessa superficie esterna, altrimenti compatta e liscia. Queste viste a "terrazzamenti" ricordano le costruzioni lamellari, le stratificazioni geologiche o i disegni delle rocce sott'acqua. La speciale illuminazione su ciascun cubo guida gli occhi dell'osservatore attraverso questi labirinti incassati, che sempre più profondamente scendono nelle viscere della scultura e conducono all'interno del cubo, nei suoi più segreti e bui recessi, fino al punto in cui nessuna luce può penetrare e tutto si dissolve nel buio totale.

Qui, come già nelle prime opere, Angela Glajcar mostra significativamente il potenziale della carta, di solito conosciuta per la sua leggerezza e fragilità. Ne rivela l'aspetto più materiale, tangibile, nonché le sue qualità immateriali, suscitando in questo modo sempre nuovi, sorprendenti visioni. Come dice la scultrice, “la carta è una sostanzaappassionante, in grado di cambiare continuamente e assumere qualsivoglia forma.” Appena lo spettatore entra nello spazio espositivo, si sente messo a confronto con un universo concluso, che nondimeno rimanda continuamente all'ambiente circostante. Così il visitatore diventa scopritore e ricercatore. Solo camminando attorno all'installazione e traversandola, è possibile catturarne la complessità spaziale e la diversità ottica, percependo altresì quella speciale atmosfera in cui spazio e tempo sono correlati. Con questa installazione l'artista ha creato uno spazio eccezionale per il riposo e la contemplazione, che ci difende e distanzia dal nostro frenetico mondo quotidiano, così saturo di rumori e stimoli.

Nonostante il nitore, la semplicità e il rigore formale, quest'opera offre una gamma infinita di associazioni. Visioni e immagini che riescono a creare un ponte fra noi e la realtà; ma nello stesso tempo ci restituiscono uno spazio sgombro e aperto, dove i nostri pensieri e le nostre fantasie possono liberamente vagare.

Barbara Auer

 

 

Intervista ad Angela Glajcar - Realizzata per la rivista "Titolo" diretta da G. Bonomi

1. Pur utilizzando anche altri materiali, è indubbio che la carta sia l’elemento essenziale della tua opera. Come sei giunta a scegliere la carta come materia d’elezione e quale aspetto di tale materia apprezzi maggiormente?

A.G.

Anticipando la mia prima serie di carta „Contrarius“ facevo piccoli collage di carta che erano prima pensati come disegni per delle sculture di legno e di acciaio. La carta presentava tutte le sue caratteristiche interessanti: è leggera e piatta, ma sorprendentemente si possono creare nello spazio dei volumi enormi. La carta è flessibile e mobile – e il movimento gioca da sempre un grande ruolo nel mio lavoro. Ma prima di tutto la carta meraviglia per la sua presenza sculturale. Queste tensioni si allargano nello spazio e gli danno un’atmosfera tutta sua.

2. Le tue sculture e installazioni sono fatte per stratificazioni e sovrapposizioni di fogli ma allo stesso tempo vi è presente anche l’elemento della sottrazione. Infatti, perforando i tuoi volumi crei degli spazi vuoti che si aprono allo sguardo dello spettatore, che ne può scrutare l’interno. Nel tuo lavoro quanto peso hanno la stratificazione e il rapporto tra pieni e vuoti?

A.G.

Prima di tutto è interessante costruire dei corpi nello spazio che non sono veramente pieni. Da un lato sono massicci, dall’altro sono trasparenti. A seconda dello sguardo lo spettatore vede quindi un blocco o gli spazi vuoti tra i fogli. Questi corpi grezzi costituiti da una moltitudine di fogli messi in linea, strappati hanno tutti una forma individuale. E come un coro che soltanto nel suo insieme crea il Klangkörper (cassa di risonanza, coro, unicum). Le voci singole devono essere perfettamente intonate/ sincronizzate e fanno vedere unicamente nella totalità il loro effetto “completo”.

Lo spazio interno è creato rompendo dei pezzi. In verità il foglio è ferito. I bordi rotti sembrano morbidi e creano un contrasto deciso con i bordi esterni tagliati. Gli spazi vuoti dei fogli unici danno ai misteriosi spazi interni un’apertura che tira lo sguardo verso l’interno e di ritorno all’esterno. Un massiccio blocco chiuso avrebbe sicuramente qualcosa d’inquietante; forse questi “spazi interni aperti” permettono esattamente allo spettatore di far riposare il suo sguardo – per avvicinarsi lentamente.

 3. Con la carta riesci a creare sia delle strutture leggere, che sembrano sottrarsi alla forza di gravità, che volumi massicci, quasi fossero dei blocchi di marmo squarciati, ma in entrambi i casi le tue opere appaiono come sospese in una dimensione atemporale, capaci di evocare atmosfere cariche di suggestioni…

A.G.

La carta è certamente un materiale che reagisce all’atmosfera in tanti modi diversi. La carta seduce tramite la sua sensualità tattile: si desidera di toccarla, di sentirla e reagisce fortemente all’ esterno e alla luce. Grazie alla tecnica della sovrapposizione le opere di carta si fanno penetrare dalla luce creando sempre nuove forme.

4. Spesso le tue opere, fatte di carta lasciata naturale e caratterizzate da un’elegante purezza, sono interamente bianche, oppure giocano sul contrasto del bianco con il nero dell’inchiostro, per quale ragione il colore non entra mai nei tuoi lavori?

A.G

In prima analisi sono un essere della materia. A me piace sempre lavorare con le qualità di un materiale, con le sue possibilità allo stato puro. In questo caso il colore mi sembrerebbe artificiale – come il trucco. Questa purezza attrae l’osservatore in modo diretto.

Il “bianco” puro della carta viene rotto da una quantità di luce e ombra che ne amplifica l’effetto spaziale.  Le ombre variano in tutte le scale di grigio e si proiettano sui muri. Cosi i lavori si espandono nello spazio e si crea un dialogo tra la materia, la luce, l’ombra e lo spazio che è tutto altro che assenza di colore.

5. Recentemente hai realizzato una grandiosa e coinvolgente installazione presso la Conferenceroom di Francoforte, come è nato quel lavoro?

A.G

Fino ad oggi questo è forse la più libera traforazione. Si sviluppa dal muro al soffitto; dentro lo spazio.  Inizialmente l’opera è larga solamente mezzo metro per poi arrivare a tre metri, quando è diventata nove metri di lunghezza.

Per me è interessante lavorare in luoghi lavorativi. Si pone come una sfida, creare un’atmosfera speciale, cambiare lo spazio in modo positivo tramite una scultura.

Prima preparo i modelli in scala 1:10 per concepirne l’effetto spaziale. Per me è sempre sorprendente quanto si può già leggere in questi modelli i diversi fenomeni spaziali.  I pezzi difficili, soprattutto quelli di ‘transito’, per esempio dal muro al soffitto, li costruisco in scala 1:5 e cosi provo tutte le posizioni possibili.  Questi modelli servono anche come matrice per la costruzione in acciaio – i tubi piegati e i ganci.

E’ sempre molto eccitante vedere i cambiamenti in sito. Solo li, i pezzi vengono assemblati e finalmente e definitamene armonizzati. Man mano la scultura cresce nello spazio e lo conquista.   

Cristina Marinelli

 Traduzioni: Gudrun Strümpf De Felice,

Dr. Lisa Hockemeyer

 

 

Dal materiale al di là del materiale

Angela Glajcar è una scultrice: strappa e perfora la carta. Delicatezza è robustezza, e la tenerezza è monumentale. Come materiale artistico, la carta ha fatto piuttosto tardi il suo ingresso nella terza dimensione. Per lungo tempo, è stata semplicemente sostegno per il disegno, l'acquarello o la grafica. È stato solo l’interesse dei moderni per le proprietà sensuali intrinseche nei diversi materiali a portare a un allargamento delle possibilità, tra cui l’impiego della carta come materiale artistico grezzo, per sé. Due

aspetti che hanno un significato importante. Da un lato, il ritorno a modalità obsolete di fabbricazione manuale, si pensi ai procedimenti utilizzati da Helmut Dirnaichner, il quale crea carta cui aggiunge pigmenti minerali macinati. Dall’altro lato, la carta ha trovato applicazione come materiale plastico, per segnalare vulnerabilità, fragilità e caducità; questo discorso vale per alcuni lavori di Angela Flaig, tra gli altri, che dalla cellulosa crea forme simili a bozzoli, o certi oggetti di Elisabeth Wagner, che con la

carta ricrea oggetti pesanti di uso comune, come pentole e mestoli. Tuttavia, in nessuno di questi esempi il prodotto finale, pressato ed essiccato, lisciato, incollato, dipinto e tagliato accuratamente in strisce esatte, diviene soggetto immediato o argomento dell’intervento artistico. La carta impiegata è fatta a mano (Dirnaichner) o possiede una funzione pratica (Flaig, Wagner). Qui sta la differenza fondamentale con le opere di Angela Glajcar. I suoi oggetti, i rilievi e le installazioni, non si basano soltanto su carta di alta qualità, prodotta con tecniche avanzate – anzi Glajcar ci tiene a sottolineare l’origine industriale del suo materiale: quando lascia che lunghe strisce di carta ricadano nello spazio in un’ampia onda, lo fa in modo tale che la delicatezza, la flessibilità e la fluidità del materiale siano ben visibili. Ma richiama contemporaneamente l’attenzione sui margini affilati dove le strisce e i fogli sono stati tagliati, proprio come fa con le sculture incavate. L’origine industriale degli oggetti, che Angela Glajcar ha raggruppato in un gruppo unico sotto il nome di “Terforazioni”, salta immediatamente all’occhio. Soprattutto là dove una forma cubica rigorosa emerge da singoli fogli di carta, sovrapposti uno sull’altro, diviene essenziale che la dimensione e la proporzione dell’opera derivino dal formato e dal numero standard dei fogli accatastati. In questo senso Glajcar fa sua una nozione concettuale-concreta di plasticità. L’oggetto d’arte diventa una circostanza spaziale, determinata quindi da fattori e componenti strettamente definiti. Glajcar si muove all’interno di questa cornice esplicitamente calcolata, per poterla al tempo stesso rompere e farla esplodere. Contro le condizioni oggettive si pone un momento soggettivo: l’artista strappa pezzi di diverse dimensioni da ogni singolo foglio, a volte nel centro, a volte sui lati. I margini di queste lacerazioni corrono irregolarmente, ma non casualmente. Ogni intervento nell’incolumità di ciascun foglio è riferimento al foglio precedente; e diviene, al tempo stesso, la base per la composizione dei fogli successivi. Questa procedura si ripete fino a che dai rettangoli di carta disposti uno sull’altro emerge il negativo di una forma. Un cratere, simile ad una caverna o ad una baia, grezzo e frastagliato. In sequenza, per addizione, foglio sopra foglio, strato dopo strato, Glajcar costruisce situazioni. Questa procedura è conforme ai precetti dell’arte concreta nella misura in cui la costruzione dell’oggetto segue regole chiare e trasparenti. Inoltre, l’approccio di Glajcar è concettuale, in quanto ogni oggetto può essere decomposto e ricomposto, ovvero sovrapposto, un numero infinito di volte. Le istruzioni racchiudono l’opera stessa. Tuttavia l’artista non si limita a specificare i parametri della composizione, lasciandone la realizzazione ad altri (i “Wall Drawings” di Sol LeWitt sarebbero un esempio di questo metodo operativo). Glajcar dà molta più importanza alla figura dell’autore; infatti, non soltanto lascia un segno su ogni singolo foglio di carta, attraverso una modificazione cosciente, ma indirizza l’intero mutamento a uno scopo. Nel corso del processo di lavorazione, Glajcar traduce le percezioni dello spazio in una realtà tridimensionale. Queste percezioni possono inizialmente apparire vaghe, ma divengono a poco a poco sempre più accurate. Nondimeno, restano sempre chiari i principi compositivi da cui parte l’artista e a cui rimane sempre fedele, durante le diverse fasi di lavoro. Angela Glajcar si è formata nella tradizione moderna, e le sue basi estetiche emergono nella maniera in cui modella volumi così come nell’incisività con cui articola il rapporto tra interno ed esterno. Glajcar ha fatto il suo ingresso nell’arte attraverso un dibattito sull’aspetto tangibile-industriale di materiali quali il legno e la pietra. Più avanti, durante gli studi con Tim Scott all’Accademia delle Arti di Norimberga, ha scoperto un altro materiale, l’acciaio. Questo periodo ha generato una serie di metal-plastiche. Tuttavia, si è lentamente risvegliato un rinnovato interesse per il legno. Sul finire degli anni novanta, Glajcar ha cominciato a creare immense strutture, servendosi di tronchi massicci, caratterizzate da cospicue intaccature, larghi solchi e grandi curve. Queste sculture si ergono nello spazio come corpi imponenti, estendendosi a dismisura, possenti e titaniche. L’artista esibisce queste opere sotto il nome di “Corrispondenze nello Spazio”, donandoci in questo modo una parola chiave, che descrive un momento centrale del suo lavoro. Sia che operi con la carta o con la plastica, con acciaio e legno, Glajcar dirige la propria attenzione sulle condizioni di interazione, relazione, dialogo o contrasto. Per un gruppo di sculture in legno, dunque, si è ispirata alla tecnica di costruzione giapponese del ‘noyane’, in cui sotto l’involucro esterno dell’architettura viene introdotto un cosiddetto ‘tetto nascosto’, nel centro di un sofisticato sistema di legami e nodi. Nel ‘noyane’ la stabilità è mantenuta grazie alla creazione di un equilibrio perfetto; per questa ragione, è stato preso a modello da Angela Glajcar per la propria arte. Infatti, il momento centrale sta nell’equilibrare, laddove il risultato può sembrare instabile e vulnerabile, poiché gli opposti si incontrano ed emergono le tensioni tra gli elementi, fra condizioni e posizioni contrastanti. Queste polarizzazioni, siano latenti o evidenti, formano spesso il fondamento semantico dei lavori di Glajcar. Appaiono nei fogli di carta, la cui meccanica perfezione viene in alcuni punti intaccata dall’azione manuale, venendo così a simbolizzare il suo contrario, e fornendo un’antitesi individuale ai beni industriali standard. Coppie di contrari si manifestano anche nei collages, dove il nero si contrappone al bianco, accanto all’alternarsi tra intagliature nette e contorni imprecisi - strappati a mano. Sono evidenti nelle grandi installazioni, dove strisce di carta lunghe decine di metri infondono leggerezza, con le loro morbide onde, a dispetto del considerevole peso. E tali polarizzazioni caratterizzano altresì le sculture in legno, anch'esse piuttosto pesanti, benché posseggano una certa flessuosa levità, in certi punti quasi danzante. In particolare, le “Corrispondenze nello Spazio” richiamano associazioni antropomorfiche. Il primo pezzo del gruppo di opere ricorda un torso umano, e nelle altre sculture è possibile identificare membra umane, figure che si reclinano, rannicchiandosi l’una nell’altra, ed ecco apparire una testa, che giace stanca sul corpo goffo. Eppure, Glajcar non intende attribuire ai suoi oggetti, rilievi o alle sue installazioni un valore associativo. Ogni forma, a prescindere dal materiale, è sviluppata essenzialmente dal materiale e determinata dal processo di lavorazione. Non c'è mai il tentativo di inserire nella struttura formale elementi narrativi o allusioni figurative. Quando le opere di Glajcar riportano alla mente immagini o visioni che oltrepassano il particolare contesto formale, tali interpretazioni sono esclusivamente frutto dell’osservatore. Ciò nonostante, le sculture di legno e le opere di carta sono a tal punto determinate dalla loro stessa consistenza, che è facile assegnare loro significati della realtà quotidiana di cui sono impregnate. L’arte di Glajcar è eclettica, non solo nel significato reale del termine, nel momento in cui dispone i fogli di carta a lamelle, uno sull’altro, ma anche in senso metaforico. Permette di proiettare su ogni singolo oggetto esperienze personali e collettive, immaginazione e fantasie. In questo senso, è la continuazione di quello che Umberto Eco ha definito come “L’opera Aperta” (1). Se parametri come proporzione, cammino lineare, relazione tra luce e ombra o estensione nello spazio sono considerati la semantica dell’arte, allora concetti come apertura e indeterminazione sollevano delle questioni. Domande relative al fattore scatenante del processo associativo: perché questo oggetto ci dà l’impressione di una caverna? O: il legame con la luce influisce sull’inconscio, sciogliendo sensazioni che rimandano all’era ontogenetica primordiale? La combinazione di effetti luminosi con la progressiva profondità spaziale, spesso utilizzata da Glajcar, ci conduce inevitabilmente a pensare all’allegoria platonica della caverna e di conseguenza alla sua teoria delle idee, in cui tutto ciò che prende forma esiste già come immagine ideale, ovvero idea. Ed ecco riemergere questioni relative ai processi cognitivi e all’esistenza umana. Per un filosofo come Georg Wilhelm Friedrich Hegel, tali tematiche possono essere espresse unicamente in un materiale duro e permanente; “il più immediato” secondo la nozione di Hegel di marmo, “nello scopo della scultura” (2). Glajcar dimostra che anche materiali meno duraturi e nobili sono divenuti, per così dire, compatibili con l’arte. Inoltre mette in luce quanto profondamente l’arte sia penetrata nella vita di tutti i giorni, abbandonando le supreme sfere chiuse dei templi e dei palazzi.

Michael Hübl

Carlo Bernardini - Testi

Nasce a Viterbo nel 1966. Vive e lavora a Milano.

TESTI

 

Hanno scritto:

Manuela Annibali, Enrico Anselmi, Cecilia Antolini, Vito Apuleo, Vittoria Biasi, Massimo Bignardi, Ilaria Bignotti, Giorgio Bonomi, Chiara Canali, Lorenzo Canova, Luciano Caramel, Luigi Cavadini, Claudio Cerritelli, Renato Civello, Tiziana Conti, Martina Corgnati, Enrico Crispolti, Claudio Cucco, Stefania Dalla Torre, Carlotta Degl’Innocenti, Valerio Dehò, Elena De Luca, Rachele Ferrario, Alberto Fiz, Matteo Galbiati, Angiola Maria Gili, Elisabetta Giovagnoni, Sebastiano Grasso, Gino Guida, Domenico Guzzi, Gianleonardo Latini, Leda Lunghi, Simonetta Lux, Cristina Marinelli, Antonella Marino, Italo Marucci, Marco Meneguzzo, Miriam Mirolla, Susanna Misiano, Silvia Pegoraro, Roberta Perfetti, Achille Perilli, Nadja Perilli, Alexandra Petrova, Veronica Pirola, Ludovico Pratesi, Alessandro Riva, Otto Rothfuss, Enzo Santese, Giuseppe Selvaggi, Gabriele Simongini, Carla Testore, Enrica Torelli Landini, Alessandro Trabucco, Maria Luisa Trevisan, Renzo Vespignani, Alessio Verzenassi, Giorgio Verzotti, Eugenio Viola, Sabrina Zannier.