Gabriele Amadori - Testi

Nato a Ferrara nel 1945. Vive e lavora a Milano.

“Lo spazio” serve proprio a tale scopo, poiché la funzione fantastica non è che questo: riserva infinita d’eternità contro il tempo (…. ) Lo spazio è nostro amico, la nostra atmosfera spirituale, mentre invece il tempo corrode.

Gilbert Durand, Les structures anthropologiques de l’imaginaire

Il fascino profondo e anche un po’ misterioso (estetico, religioso, onirico, mitico) che emana dall’azione pittorica di Gabriele Amadori evocata,accesa e stimolata da una qualche partitura sonora, nasce e risiede a mio parere da e in una singolare e vigorosa consapevolezza antropologica. 

La sapienza e la potenza rituale della sua “celebrazione” (ma potremmo benissimo dire della sua infatuazione o della sua possessione) hanno come epicentro lo scontro (e non certo l’incontro), il conflitto fatale e di-sperato tra l’eufemismo spaziale creato e ricreato infaticabilmente dalla fantasia e l’annientamento della disgregazione operato dal tempo. Si tratta di un nucleo simbolico di memorie remote, ma piuttosto ancestrali, sul quale Amadori opera una elaborazione, anzi una interpretazione perfettamente moderna e ineccepibilmente laica.

Un passaggio del grande antropologo Gilbert Durand da “Les structures anthropologiques de l’imaginaire” sembra scritto ad hoc per l’azione di Amadori: « La rappresentazione nella sua totalità si erge contro l’annientamento portato dal tempo, specialmente la rappresentazione in tutta la sua purezza di anti-destino: la funzione fantastica rispetto alla quale la memoria non è che un incidente. La vocazione dello spirito può essere soltanto di insubordinazione all’esistenza e alla morte».

Prima di iniziare l’azione scenica Gabriele Amadori traccia sulla grande tela le coordinate spazio-temporali: qui il consolidarsi delle strutturazioni e la crescente saturazione cromatica dello spazio comprimono e imprigionano il tempo nei suoi infiniti interstizi; in questa battaglia, in questa lotta (per gli attori alla lettera corpo-a-corpo), tra l’erosione entropica della astrazione temporale e il consolidarsi nell’ispessimento materico di uno spazio euclideo, il rito collettivo (Amadori, i musicisti, ma da subito anche il pubblico) conferma simbolicamente proprio dentro la spazialità la patria della funzione fantastica; l’origine della straordinaria e utopica eversione contro il destino della caducità, della perdita e della morte.


«Proprio per questa ragione profonda – scrive Durand commentando Bergson – l’immaginazione umana è modellata prima dallo sviluppo del vedere, poi dall’udire e infine dal linguaggio: tutti mezzi di apprendimento e di assimilazione “a distanza”. Appunto in questa riduzione “eufemizzante” della distanza e del distacco sono contenute le qualità dello spazio». Non è, direbbe Piaget, lo spazio immediatamente percettivo; ma piuttosto quello rappresentativo che si apre all’apparire della funzione simbolica, strettamente legato all’azione poiché “la rappresentazione spaziale è un’azione interiorizzata”.


La formula che abbiamo spesso utilizzato a proposito di Amadori “vedere la musica e ascoltare la pittura” evidenzia proprio la specificità di uno spazio densamente simbolico di rappresentazione (teatrale, rituale, persino liturgica, sovente onirica e visionaria) dentro il quale anche la temporalità musicale (tempi, ritmi, scansioni) si metamorfizza aprendosi, strutturandosi, assestandosi in ambiti simbolici; in nuclei di resistenza di una durata che affronta con determinazione la minaccia del silenzio e del nulla di prima e di dopo.
D’altra parte l’azione di Amadori non fa che sottolineare la nostra tendenza naturale a trasformare percezioni e sensazioni di ogni tipo in temi visivi e in immagini: a tal punto che proprio la terminologia delle arti musicali è essa stessa “visiva”: volume, misura, crescendo, simmetria, eccetera.


La mediazione rituale ovvero in questo caso il conduttore energetico della contrapposizione tra “l’amicizia” eufemizzante dello spazio e l’ostilità dispersiva del tempo non è costituita dalla materialità agita dei colori, degli impasti, delle campiture, delle pennellate, delle sgocciolature, degli spruzzi; ma direttamente e costantemente dalla corporeità integralmente impegnata dell’attore che, sulla scena, spalanca, costruisce, percorre distanze traducendo in rappresentazione simbolica la fuga del tempo che lambisce e dilava rischiosamente anche i confini esterni del recinto sacro del rito di luce.


Il fascino esercitato dalla gestualità febbrile e controllata dell’artista nella progressiva strutturazione cromatica di uno spazio “vuoto” sta proprio nell’accumularsi visivo di una energia simbolica generosa e benefica, capace di incentivare la speranza di una possibile insubordinazione della facoltà immaginaria contro l’insostenibile irreversibilità del tempo.

Milano, Novembre 2004
Pietro Bellasi

 

 

CHAMBER PAINTING MUSIC

“Tempo / Spazio / Suono / Colore”

Gabriele Amadori è un creatore atipico. Poco portato a parlare di sé, restio di fronte ad ogni retorica, persegue da molti anni una strada coraggiosa e solitaria: quella della ricerca interdisciplinare tra arte, musica, architettura e scenografia. Incurante delle mode culturali, Amadori inscena visioni fluttuanti di ombra e di luce; disegna scene e costumi per opere liriche in tutto il mondo, progetta installazioni luminose per monumenti, spazi urbani e mostre; realizza performance in una metamorfosi costante di gesti, suoni e colore. Profondo conoscitore della musica, della storia del teatro, docente di scenografia al Politecnico, Gabriele ci sollecita a “vedere” la musica e “ascoltare” le immagini.

È a queste forme di espressione e di sintonia che Amadori si è più dedicato, cercando consonanze tra suoni e colori nella musica di Bela Bartok, di Luigi Nono come anche nei Tableau Vivant, una lettura strutturale delle musiche di Franco Donatoni. Ma è soprattutto con la costruzione del suo teatrino delle meraviglie dedicato all’interpretazione fantastica fatta di forme e colori del Flauto Magico mozartiano che Amadori giunge a una forma di poesia visiva da grande maestro e profondo conoscitore delle arti.

Amadori nelle sue Action Paintings converte le astrazioni musicali in materia, movimento, colore cangiante, strato su strato, realizzando un’esperienza che per molti sembrerebbe impossibile: la trasformazione apparentemente “spontanea” della tela sotto le pennellate successive che diventano movimento, le ondate melodiche accompagnate dai suoi gesti che danno forma ai segni.

La ricerca di Amadori in questo campo ha una storia lunga cominciata con Demetrio Stratos nel 1976 trent’anni fa. Le composizioni di Amadori restituiscono unità al gesto creativo, riportano lo spettatore, l’ascoltatore a ritornare a quell’unità del sentire, di sensibilità, di finezza percettiva, sollecitando un’epifania spazio/temporale al tempo stesso moderna e primordiale.

Gabriele Amadori è nato a Ferrara il 30/10/45 , vive e lavora a Milano.

Anna Detheridge
Il Sole 24 Ore